Quando la terra è d'ombre ricoverta, E soffia 'l vento, e in su le arene estreme L'onda va e vien che mormorando geme, E appar la luna tra le nubi incerta;
Torno dove la spiaggia è più deserta Solingo a ragionar con la mia speme, E del mio cor che sanguinando geme Ad or ad or palpo la piaga aperta.
Lasso! me stesso in me più non discerno, E languono i miei dì come viola Nascente ch'abbia tempestata il verno;
Chè va lungi da me colei che sola Far potea sul mio labbro il riso eterno: Luce degli occhi miei, chi mi t'invola
ELEGIA Qui sorge un'urna, e qui in funereo manto Erran le Grazie, e qui echeggiar s'ascolta Flebili versi, fioche voci, e pianto. E di cipressi sotto oscura volta Cupa Malinconia muta s'aggira Coi crin su gli occhi, e nel suo duol raccolta. Qui gemebondo a lagrimar si mira Vate canuto su la sorda pietra, E ora ammuta, ora geme, ed or sospira: Giace da un lato al suol mesta la cetra, Che con le dolci fila tremolando Manda intorno armonia confusa e tetra; E i primi affanni suoi più rammentando Al tetro suon Filomela risponde Suoi lai soavemente modulando. Al duol che il Vate misero diffonde Tutto sospira, tutto s'accompagna Tutto a piangere seco si confonde. Trista è così de' morti la campagna Allor che Young fra l'ombre de la notte Sul fato di Narcisa egro si lagna. E al suon di sue querele alte interrotte Silenzio, Oscurità s'alzan turbati Dal ferreo sonno di lor ampie grotte. Qui pur regna tristezza! E al colle, ai prati Agli alberi, alle fonti, ed agli augei Narra il buon Veglio d'Amaritte i fati. Anch'io, dolce Poeta, anch'io perdei Tenera, amica, onde confondo or mesto A' tuoi dirotti pianti i pianti miei. Erano gli occhi suoi caro e modesto Raggio di Luna, era il parlar gentile Giojoso cardellino appena desto. Ah! la Ninfa più amabile d'aprile Che inghirlanda di rose i crini a Flora Tanto non era a sua beltà simìle. Ma come il Sol de la vezzosa Aurora Le chiome arde e le vesti, e co' suoi dardi Spegne i fioretti, e di Favonio l'òra; Così Morte accigliata i dolci sguardi Della tenera amica d'improvviso Chiuse, ché i voti miei furono tardi. Pallido e smorto io vidi il vago viso, Udii gli estremi accenti, e l'fiato estremo Esalare fra un languido sorriso. È un anno intanto che coi pianti io spremo Dell'affannato cor l'immensa doglia, Che sol trovo conforto allor ch'io gemo. Cinta di bianca radïante spoglia Scende talora la pietosa amante A consolarmi da l'empirea soglia. E poco fa Ella apparve a me dinnante A mano d'Amaritte, a cui conforme Fu l'età, fu il costume, e fu l'sembiante. A le fiorite placide lor orme Io le conobbi, ed al sereno riso, E le conobbi a le beato forme, Sparpagliavano gigli, e dolce, e fiso Aveano in me quel raggio, che d'intorno Il piacer diffondea del Paradiso. Poscia su rosea nube a lor soggiorno Corteggiato dai Spiriti innocenti Balenando beltà facean ritorno. Ma tu, dolce Poeta, a' tuoi lamenti Pon modo alfine, e fa' che un lieto canto S'unisca ai loro angelici concenti. Or che siedi su l'urna, e un serto intanto Di cipresso lor tessi, Elle dal Cielo Ti guardan coronato d'amaranto. Oh! se avvolta talora in niveo volo La gentil Coppia a raddolcir discendo La piaga che a te fe' di morte il telo; Deh! tu ravvisa alle Virginee bende Al crin biondo alle cerule pupille La mia Angioletta, e sospirando dille: Odi che il tuo Fedel piange e t'attende.
Che or lagrima spargeva ed or sospiro. Poi tutto sparve, ché tremenda voce Rintuonò intorno, e da' lor cupi abissi Tornàr la notte e il turbine feroce, E ancor tremando quel che vidi io scrissi.
Il maggior Cherubino allor fe' segno Ai sette Spirti, e rapidi il seguiro Del firmamento vèr lo schiuso regno: E in estasi di gioja e di martiro Lasciàr quell'Angioletta su la Croce
Siccome spunta il Sol senza alcun velo, Ratto ell'arse negli occhi e nel sembiante Splendidamente di celeste zelo; E più che al tergo avesse ed alle piante D'aquila i vanni, di salute al legno Lanciossi e affisse le sue labbia sante
Indi com'ebbe alquanto confortata L'etereo messagger dolce e clemente La timidetta Vergine beata, Al labbro le appressò del rifulgente Calice l'orlo, e con i lumi al Cielo Essa il libò pietosa e ubbidïente.
Tremante allor con luci timorose Si strinse alla sua duce la Donzella, E nel suo petto il volto si nascose. Poi s'alzava, qual dopo la procella Pian pian tragge dal nido il collo, e guata L'impaurita ingenua colombella.
Del Paradiso le beltà vedrai, Le disse; e tutta a un tratto si cosperse L'etra di gioja, di candor, di rai. Ma tosto d'atro orror si ricoverse, Brontolàr tuoni, serpeggiaro lampi Quando a morte e a terror la bocca aperse, E pinse come per i negri campi Nelle tempeste l'alto Dio passeggia, E qual di fiamme e di bufere avvampi Piena d'aspri lion l'empirea reggia, E qual su nubi negro e sanguinose Con igneo brando la Giustizia seggia.
Che ascosa al mondo sotto un puro ammanto Gode al raggio di Dio beata un'alma: E al suo parlar svegliossi da ogni canto Un'indistinta soave armonia, Un dolce dolce amorosetto canto. Pinse come su i Cieli rifiorìa D'amaranto immortale un vago serto Per chi l'inferno ed il peccato obblìa: E al suo parlar vezzosamente aperto Si vide il prato ne' color più gai, E di fioretti amabili coperto.
E venir vidi in leggiadria decente Amabil Verginella, alla cui fronte Ornamento facea candor lucente. Così non luce mai vermiglio il monte Cui batte il Sol di sera, e sì non luce Sul mattin odoroso l'orizzonte. Nube che fior sparpaglia la conduce Per l'aer leggiadramente, ed al suo lato Fervida stassi Carità per duce. Di mite venticel fragrante fiato Spingea la bianca nube, e dir parea: In uffizio sì caro io son beato. E poi che giunse là 've risplendea L'augusta Croce, e di Angeli uno stuolo Radïante corona la facea; Troncò la nube candidetta il volo, E soffermossi a piè del Cherubino Che scese i Cieli maestoso e solo. Ed ei sul capo riverente e chino Dell'innocente Vergine la palma Stese, e sparse su lei sermon divino; E le dipinse la placida calma,