Le migliori poesie inserite da Davide Bidin

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Scritta da: Davide Bidin

Tu, non vuoi leggere questa poesia!

Non vuoi leggere questa poesia!
dì la verità
leggere libri, poesie e racconti è difficile
preferisci un bel film una canzone da quattro soldi
o meglio ancora un aforisma.
Perché estrapolare concetti assurdi
quando puoi accontentarti di
una supposta di saccenteria?
Perché, perdere ore ed ore
concependo cosa pensa un'altro individuo
quando puoi ingrassare il tuo ego
in pochi secondi?
Smagrisci la tua coscienza
non ne hai bisogno
elimina il tuo criticismo
avrai più amici
cancella ogni analisi
vivrai sereno
com'è serena la vita di un quarzo non ancora
liberato
dai residui dei tempi passati
Non vuoi leggere questa poesia?
Vaffanculo.
Composta mercoledì 25 maggio 2011
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    Scritta da: Davide Bidin

    I Fiori

    Non so perché quella sera,
    fossero i troppi profumi del banchetto...
    irrequietezza della primavera...
    un'indefinita pesantezza
    mi gravava sul petto,
    un vuoto infinito mi sentivo nel cuore...
    ero stanco, avvilito, di malumore.
    Non so perché, io non avea mangiato,
    e pure sentendomi sazio come un re
    digiuno ero come un mendico,
    chi sa perché?
    Non avvevo preso parte
    alle allegre risate,
    ai parlar consueti
    degli amici gai o lieti,
    tutto m'era sembrato sconcio,
    tutto m'era parso osceno,
    non per un senso vano di moralità,
    che in me non c'è,
    e nessuno s'era curato di me,
    chi sa...
    O la sconcezza era in me...
    o c'era l'ultimo avanzo della purità.
    M'era, chi sa perché,
    sembrata quella sera
    terribilmente pesa
    la gamba
    che la buona vicina di destra
    teneva sulla mia
    fino dalla minestra.
    E in fondo...
    non era che una vecchia usanza,
    vecchia quanto il mondo.
    La vicina di sinistra,
    chi sa perché,
    non mi aveva assestato che un colpetto
    alla fine del pranzo, al caffè;
    e ficcatomi in bocca mezzo confetto
    s'era voltata in là,
    quasi volendo dire:
    "ah!, ci sei anche te".

    Quando tutti si furno alzati,
    e si furono sparpagliati
    negli angoli, pei vani delle finestre,
    sui divani
    di qualche romito salottino,
    io, non visto, scivolai nel giardino
    per prendere un po' d'aria.
    E subito mi parve d'essere liberato,
    la freschezza dell'aria
    irruppe nel mio petto
    risolutamente,
    e il mio petto si sentì sollevato
    dalla vaga e ignota pena
    dopo i molti profumi della cena.
    Bella sera luminosa!
    Fresca, di primavera.
    Pura e serena.
    Milioni di stelle
    sembravano sorridere amorose
    dal firmamento
    quasi un'immane cupola d'argento.
    Come mi sentivo contento!
    Ampie, robuste piante
    dall'ombre generose,
    sotto voi passeggiare,
    sotto la vostra sana protezione
    obliare,
    ritrovare i nostri pensieri più cari,
    sognare casti ideali,
    sperare, sperare,
    dimenticare tutti i mali del mondo,
    degli uomini,
    peccati e debolezze, miserie, viltà,
    tutte le nefandezze;
    tra voi fiori sorridere,
    tra i vostri profumi soavi,
    angelica carezza di frescura,
    esseri pura della natura.
    Oh! com'è bello
    sentirsi libero cittadino
    solo,
    nel cuore di un giardino.
    -Zz... Zz
    -Che c'è?
    -Zz... Zz...
    -Chi è?
    M'avvicinai donde veniva il segnale,
    all'angolo del viale
    una rosa voluminosa
    si spampanava sulle spalle
    in maniera scandalosa il décolletè.
    -Non dico mica a te.
    Fo cenno a quel gruppo di bocciuoli
    che son sulla spalliera,
    ma non vale la pena.
    Magri affari stasera,
    questi bravi figliuoli
    non sono in vena.
    -Ma tu chi sei? Che fai?
    -Bella, sono una rosa,
    non m'hai ancora veduta?
    Sono una rosa e faccio la prostituta.
    -Te?
    -Io, sì, che male c'è?
    -Una rosa!
    -Una rosa, perché?
    All'angolo del viale
    aspetto per guadagnarmi il pane,
    fo qualcosa di male?
    -Oh!
    -Che diavolo ti piglia?
    Credi che sien migliori,
    i fiori,
    in seno alla famiglia?
    Voltati, dietro a te,
    lo vedi quel cespuglio
    di quattro personcine,
    due grandi e due bambine?
    Due rose e due bocciuoli?
    Sono il padre, la madre, coi figlioli.
    Se la intendono... e bene,
    tra fratello e sorella,
    il padre se la fa colla figliola,
    la madre col figliolo...
    Che cara famigliola!
    È ancor miglior partito
    farsi pagar l'amore
    a ore,
    che farsi maltrattare
    da un porco di marito.
    Quell'oca dell'ortensia,
    senza nessun costrutto,
    fa sì finir tutto
    da quel coglione del girasole.
    Vedi quei due garofani
    al canto della strada?
    Come sono eleganti!
    Campano alle spalle delle loro amanti
    che fanno la puttana
    come me.
    -Oh! Oh!
    - Oh! ciel che casi strani,
    due garofani ruffiani.
    E lo vedi quel giglio,
    lì, al ceppo di quel tiglio?
    Che arietta ingenua e casta!
    Ah! Ah! Lo vedi? È un pederasta.
    -No! No! Non più! Basta
    -Mio caro, e ci posso far qualcosa
    io,
    se il giglio è pederasta,
    se puttana è la rosa?
    -Anche voi!
    -Che maraviglia!
    Lesbica è la vaniglia.
    E il narciso, quello specchio di candore,
    si masturba quando è in petto alle signore.
    -Anche voi!
    Candidi, azzurri, rosei,
    vellutati, profumati fiori...
    -E la violaciocca,
    fa certi lavoretti con la bocca...
    -Nell'ora sì fugace che v'è data...
    -E la medesima violetta,
    beghina d'ogni fiore?
    fa lunghe processioni di devozione
    al Signore,
    poi... all'ombra dell'erbetta,
    vedessi cosa mostra al ciclamino...
    povero lilli,
    è la più gran vergogna
    corrompere un bambino
    -misero pasto delle passioni.
    Levai la testa al cielo
    per trovare un respiro,
    mi sembrò dalle stelle pungermi
    malefici bisbigli,
    e il firmamento mi cadesse addosso
    come coltre di spilli.
    Prono mi gettai sulla terra
    bussando con tutto il corpo affranto:
    -Basta! Basta!
    Ho paura.
    Dio,
    abbi pietà dell'ultimo tuo figlio.
    Aprimi un nascondiglio
    fuori della natura!
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      Scritta da: Davide Bidin

      La Ballata del Garguille

      Di marmo, pietra e sogni infranti
      nel Mardi Gras e comparati annessi
      osservo l'uomo nell'alba grigia
      d'un finito sole.
      Nel carnevale s'intona l'essere,
      fragoroso, incoerente, protestante,
      dalla cattedrale scrosto la speranza,
      l'ode
      del vento d'occidente.
      Nuovi sogni, ormai sorti
      e nuove bombe esplose
      liberarsi dai passati
      non è che trovarsene di nuovi
      e la paura che io imponevo,
      dalla guglia e dal rosone,
      appartiene a questa foga
      indole di negazione.
      Ma il sogno s'assopisce
      l'attimo si fa quieto
      la muta rende carne
      per lo scheletro marmoreo.
      Sollevare l'acciarino
      in un impulso d'autarchia,
      distogliermi lo sguardo
      per non fronteggiar più il cielo
      non ha estromesso le paure
      né ha cessato il bisogno
      di un eroe da contemplare
      nella compiacenza
      che dà
      il sogno.
      La folla cerca nuovi miti
      a cui delegar la lor morale
      a cui affidare i principi
      a cui
      sembrare.
      Tenero Gargouille spaventato,
      soffro in silenzio l'evoluzione
      che nei molti ha portato
      illusione d'assoluzione.
      Il fraintendimento d'esser cresciuti
      il turbamento di non saper cercare
      un senso alla vita
      senza farselo prestare.
      Meglio l'ebano el mercurio
      chel banale boccheggiare
      nel silente plenilunio
      di chi non sa accettare
      di chi non vuol porre
      la domanda assai melensa.
      Perché io credo d'esser?
      Di che elemento, voglio composta,
      la mia
      esistenza?
      Composta lunedì 2 aprile 2012
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        Scritta da: Davide Bidin

        Il Dolore del Vincitore

        Trattenere in pugno i frutti di una vita
        varcare la soglia verso l'infinito
        difficilmente permette di sciogliere le dita
        può abbaggliar tutto ciò che nel tempo hai appreso
        ma c'è sincera estasi nello scoprire
        apparire con eccesso morale
        così come essere, altro non è, che sembrare
        riuscire a distaccare la propria coscienza
        percepire come in un occhio
        attraverso nuova, stupenda ignoranza
        il mondo si scopre, le luci, poi, vorticano
        Il tuo cruccio rosso olandese
        vedere le cose come dovrebbero essere
        lodare il mondo col male che mente
        e dalla collera, fin nella pazzia
        vivere il colore, cambiare il nero col blu
        per chi l'ammira insistente, malattia del vivente
        lottare per essere Vincente.
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          Scritta da: Davide Bidin

          Comare Coletta

          "Saltella e balletta
          comare Coletta!
          Saltella e balletta!"

          Smagrita, ricurva, la piccola vecchia
          girando le strade saltella e balletta.
          Si ferma la gente a guardarla,
          di rado taluno le getta denaro;
          saltella più lesta la vecchia al tintinno,
          ringrazia provandosi ancora
          di reggere alla piroetta.
          Talvolta ella cade fra il lazzo e le risa:
          nessuno le porge la mano.

          "Saltella e balletta
          comare Coletta!
          Saltella e balletta!"

          – La tua parrucchina, comare Coletta,
          ti perde il capecchio!
          – E il bel mazzolino, comare Coletta,
          di fiori assai freschi!
          – Ancora non hanno lasciato cadere
          il vivo scarlatto.
          – Ricordan quei fiori, comare Coletta,
          gli antichi splendori?
          – Danzavi nel mezzo ai ripalchi,
          n'è vero, comare Coletta?
          Danzavi vestita di luci, cosparsa di gemme,
          E solo coperta di sguardi malefici, vero?
          – Ricordi le luci, le gemme?
          – Le vesti smaglianti?
          – Ricordi gli sguardi?
          – Ricordi il tuo sozzo peccato?
          – Vecchiaccia d'inferno,
          tu sei maledetta.

          "Saltella e balletta
          comare Coletta!
          Saltella e balletta!"

          Ricurva, sciancata,
          provandosi ancora di reggere alla piroetta,
          s'aggira per fame la vecchia fangosa;
          trascina la logora veste pendente a brandelli,
          le cade a pennecchi di capo il capecchio
          fra il lazzo e le risa,
          la rabbia le serra la bocca
          di rughe ormai fossa bavosa.
          E ancora un mazzetto
          di fiori scarlatti
          le ride sul petto.

          "Saltella e balletta
          comare Coletta!
          Saltella e balletta"
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            Scritta da: Davide Bidin

            Milano in una mattina di Febbraio

            Ora piove
            mattina di metà febbraio,
            Milano sembra più
            sincera
            quando fuori piange
            si sente la scalma
            dei rinnegati
            farsi largo timida,
            gioca crepitante su un oceano
            di attese incolpe
            e aspetta placida
            il lungo passaggio
            nel nessun dove.
            La città grigia e umida
            cita Marinetti nei rumori freschi
            del mattino
            la neve, ormai, si scioglie
            nell'acqua di pozza
            il rivolo rimpolpa la siepe
            il sapore di tranquilla rivolta
            di una vita che non si ripete
            e che ha bisogno di adeguarsi.
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