Le migliori poesie inserite da Davide Bidin

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Scritta da: Davide Bidin

Ciò che non Appare

Odore di gelsomino
Spruzzata d'olio tra i carruggi
Pozzanghere mezze piene sui cigli delle strade
Sprazzi di nubi che muovon il vento

Il sole che fa capolino aldilà del monte
Mentre il mare saluta la sera con l'onde
Il sale incalza tremante le ultime anime attardate
Venere abbaglia come luna novella

Cammino ancora tra le vie scoscese
Cercando invano un motivo
Che mi porti sulla strada principale
e mi perdo nascosto in quel portone

Mi fermo a terra, lo spettro sulla spalla
Un po' di fumo dalla bocca
Rende tutto più eloquente
i marmi sul terreno abbagliano come polvere di stelle

e una ragazza dai capelli paglierino s'avvicina
Girato l'angolo da due passi e mi guarda col sorriso
è giunta anche lei su quel portone e io a terra seduto
Mi passa accanto e torna tra i carruggi della sera.
Composta sabato 17 aprile 2010
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    Scritta da: Davide Bidin

    Requiescat In Pace

    Ho letto troppe tombe
    Per riposare in pace
    Per tacere
    Mentre fuori ancora
    Piove

    Ho letto troppe lapidi
    Con inciso il loro nome
    Per capire che il mondo
    Non rimane
    Alla sola indignazione

    Son stato al patibolo
    Ricordo i nomi
    Gridati dai corpi esposti
    Distrutti e depredati
    Trangugiati

    c'era un ragazzo che camminava
    Perché la cosa giusta non è mai fermarsi
    Aveva uno spettro
    Quello del cambiamento
    Che con la mano sul ventre l'accarezzava

    c'era un Intelletuale che sapeva
    Ma la conoscenza come ogni cosa
    Se è troppo concentrata
    Va purgata
    La penna ferisce ma non uccide

    c'era un Generale che combatteva
    Non per fierezza né potere
    Ma per guardar negl'occhi i figli
    l'hanno ammazzato
    Perché le lacrime non hanno onore?

    C'era un Credente che predicava
    Una politica d'unione
    Uno stato non di croci ma di cuori
    Ma gli stolti non han bandiera
    Soprattutto i burattini

    c'eran due Compari a caccia di lupini
    Portaron la primavera
    Quando il gelo ghiacciava il sole
    Speranza nel domani
    Vivran sulle nostre gambe

    Ci son tante anime
    Che dormon in collina
    Il loro grido sordo
    Strugge le mie orecchie
    Attarda la mia mente

    Muoion folli i muti
    Mi scopro a ricordar la lor vita
    Con gocce che scendon dalle guance
    Con denti serrati e stretti
    Mentre fissano la luna

    Splendido il ricordo
    Qualcosa, anche se poco
    Perché in giorni come questo
    Solo la morte mi da la forza
    Di alzarmi ancora per sperare.
    Composta martedì 13 aprile 2010
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      Scritta da: Davide Bidin

      A Nostra Signora della Malattia

      Nostra signora dellà Malattia
      Noi ti preghiamo
      Possa la tua forza contundermi
      Possa il tuo spettro possedermi
      e la tua volontà affliggermi

      Nostra signora dellà Malattia
      Noi ti invochiamo
      Giacenti in confortevoli letti
      Nella gelida penitente nausea
      Nell'atroce palpitante febbre

      Poiché sappiamo
      Cosa si prova a sentirti viva
      Mentre noi moriamo

      Malattia
      Che di noi ti nutri
      Che con noi giochi

      Possa una volta conclusasi l'opra tua
      Piangere lacrime di sangue
      Come hai fatto a noi uscire
      Nell'amare le tue spoglie stupranti

      Possa tu stessa provare,
      Quando non ci sarà più vita alcuna,
      Quando ogni gemma essiccherà
      La croce dell'inutilità.
      Composta giovedì 2 luglio 2009
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        Scritta da: Davide Bidin

        Visione del Mare di un Morto Vivente

        D'innanzi al mare
        Oscuro il sentore
        Lo scrosciare vicino
        Sento onde ammazzare
        Il vento, il movimento
        Nient'altro ch'èl mare

        Ammiro nella notte
        Nella tenebra palpitante
        Nell'oscurità sconfortante
        Un folleto che mortifica
        l'uomo, l'esistenza
        Il rimasuglio dell'essenza

        Ammiro lontano
        Sopra questo scoglio
        Ove son seduto
        Lontano a men due passi
        l'acqua che dall'onde
        Scroscia sopra me

        Guardo
        Il nero sentiero
        Il muro che cela
        Nient'altro
        Che nero
        Nero Nulla, Nero Niente

        Indifferente luna
        Guarda sopra le nubi
        Tra esse mentre si diradono
        Mostrando strade di luce
        Il tondo diritambo
        Il sacro rumore di dubbi dell'imo

        La stesa accecante
        Di Buio e'tenebra
        Di splendore d'acqua vitrea
        Che non avvisa
        Non spiega né avvera
        Non significa

        Intanto il mio corpo
        Si culla
        In mare
        Nel mare
        Dal mare
        Per niente.
        Composta mercoledì 24 febbraio 2010
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          Scritta da: Davide Bidin

          Fregatene del mondo

          Ma se davvero
          l'unica cosa che per te conta
          è l'indifferenza
          il fregartene della gente
          il disinteresse del tutto
          dimmi
          perché dici quest'accozzaglia di cazzate
          che non è tuo interesse far sapere agli altri?
          Perché desideri che chiunque sappia
          quanto sei patetico?
          Piccolo, immaturo, bambolo di peltro,
          piagnisteo antropomorfico
          zittisci le tue lacrime
          tornatene nell'angolo a prendertela
          col la tua inutilità
          e non seminare intolleranza
          verso il cambiamento.
          Se proprio vuoi essere d'aiuto
          impiccati
          è meglio lasciarsi fottere dal mondo
          che interessarsi
          anche per un solo, ameno istante,
          di te.
          Composta domenica 5 giugno 2011
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            Scritta da: Davide Bidin

            Sudore Intollerante

            Viver tra la folla
            mentre intorno gente che non conosci
            alita pestilenti grugniti
            le vecchie del paese
            che battibeccano di morti, malattie e pioggia
            bambini latranti che stridono
            genitori ebbri di noia sordida
            l'imbianchino sui soppalchi che vernicia la casa
            e fischietta
            vigliaccamente fischietta
            e ancora il barista che fa il caffè
            mentre grassi ragazzetti giocano a pallone
            questo casino accerchiante
            di apprensione continua
            concussiva
            un'ansia che sale ed erutta nei tuoi atteggiamenti impacciati
            negli zigomi rialzati
            nelle smorfie di fastidio
            di tolleranza maltenuta
            in un'aritmia fuori scala una sudorazione avvampante
            che peggiora la situazione
            e ancor di più provi fastidio
            gli occhi cagneschi e nascosti
            la mascella si serra, le spalle si allargano
            le mani nelle tasche, il passo cadenzato
            sperando di arrivare
            due ragazzine sedicenni con una camel in mano per coppia di braccia
            le sento parlare
            "ho sentito dire che fumare fa invecchiare la pelle"
            e io rido sommessamente
            pensando e trovando
            per un solo istante
            un breve tratto di tranquillità
            il solo ascoltar le vostre lagnanze da ipocriti mentecatti
            mi porterà alla scarnificazione
            la fine di ogni buon viaggio
            l'Arrivo.
            Composta giovedì 22 luglio 2010
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              Scritta da: Davide Bidin

              Loano in una Sera d'Aprile

              Opaca stazione dei treni
              quanto tempo passato quaggiù
              rumore di ganci e di stretti
              tortura di fibra morale
              veder le persone partire
              e poi rivederle arrivare
              mentre sole nel vento disperdi
              sentimenti che io ho sognato
              e che tutt'oggi giocano ancora
              con la memoria
              di un bimbo cieco
              che il tempo ha passato tutt'ora
              a cercare un vivere lieto
              ad apprezzare un abbraccio, un saluto
              un caffè, un dolce sorriso.
              il bacio affettuoso
              e una camminata poi
              verso il mare
              mentre la pace a stento trattieni
              ed è ancora quel ghigno falsato
              nell'attesa e nella venuta
              che infine l'uomo ha creato
              in questa fragile vita
              scoprire un amico arrivare
              sentire il calore del ghiaccio
              un peso, poi, sopportare
              quando il bruciore si disfa d'un tratto
              quindi rivedere passare
              quella carrozza tanto desiderata
              eppure adesso esecrare
              quel rapimento
              immutevole e muto
              che ti ha fatto accettare
              il dubbio di essere solo
              il treno deruba e regala
              principio di gloria e ragione
              di una mezz'ora
              che può essere disperazione
              o tensione.
              Composta sabato 14 maggio 2011
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                Scritta da: Davide Bidin

                Tu, non vuoi leggere questa poesia!

                Non vuoi leggere questa poesia!
                dì la verità
                leggere libri, poesie e racconti è difficile
                preferisci un bel film una canzone da quattro soldi
                o meglio ancora un aforisma.
                Perché estrapolare concetti assurdi
                quando puoi accontentarti di
                una supposta di saccenteria?
                Perché, perdere ore ed ore
                concependo cosa pensa un'altro individuo
                quando puoi ingrassare il tuo ego
                in pochi secondi?
                Smagrisci la tua coscienza
                non ne hai bisogno
                elimina il tuo criticismo
                avrai più amici
                cancella ogni analisi
                vivrai sereno
                com'è serena la vita di un quarzo non ancora
                liberato
                dai residui dei tempi passati
                Non vuoi leggere questa poesia?
                Vaffanculo.
                Composta mercoledì 25 maggio 2011
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                  Scritta da: Davide Bidin

                  La Ballata del Garguille

                  Di marmo, pietra e sogni infranti
                  nel Mardi Gras e comparati annessi
                  osservo l'uomo nell'alba grigia
                  d'un finito sole.
                  Nel carnevale s'intona l'essere,
                  fragoroso, incoerente, protestante,
                  dalla cattedrale scrosto la speranza,
                  l'ode
                  del vento d'occidente.
                  Nuovi sogni, ormai sorti
                  e nuove bombe esplose
                  liberarsi dai passati
                  non è che trovarsene di nuovi
                  e la paura che io imponevo,
                  dalla guglia e dal rosone,
                  appartiene a questa foga
                  indole di negazione.
                  Ma il sogno s'assopisce
                  l'attimo si fa quieto
                  la muta rende carne
                  per lo scheletro marmoreo.
                  Sollevare l'acciarino
                  in un impulso d'autarchia,
                  distogliermi lo sguardo
                  per non fronteggiar più il cielo
                  non ha estromesso le paure
                  né ha cessato il bisogno
                  di un eroe da contemplare
                  nella compiacenza
                  che dà
                  il sogno.
                  La folla cerca nuovi miti
                  a cui delegar la lor morale
                  a cui affidare i principi
                  a cui
                  sembrare.
                  Tenero Gargouille spaventato,
                  soffro in silenzio l'evoluzione
                  che nei molti ha portato
                  illusione d'assoluzione.
                  Il fraintendimento d'esser cresciuti
                  il turbamento di non saper cercare
                  un senso alla vita
                  senza farselo prestare.
                  Meglio l'ebano el mercurio
                  chel banale boccheggiare
                  nel silente plenilunio
                  di chi non sa accettare
                  di chi non vuol porre
                  la domanda assai melensa.
                  Perché io credo d'esser?
                  Di che elemento, voglio composta,
                  la mia
                  esistenza?
                  Composta lunedì 2 aprile 2012
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                    Scritta da: Davide Bidin

                    I Fiori

                    Non so perché quella sera,
                    fossero i troppi profumi del banchetto...
                    irrequietezza della primavera...
                    un'indefinita pesantezza
                    mi gravava sul petto,
                    un vuoto infinito mi sentivo nel cuore...
                    ero stanco, avvilito, di malumore.
                    Non so perché, io non avea mangiato,
                    e pure sentendomi sazio come un re
                    digiuno ero come un mendico,
                    chi sa perché?
                    Non avvevo preso parte
                    alle allegre risate,
                    ai parlar consueti
                    degli amici gai o lieti,
                    tutto m'era sembrato sconcio,
                    tutto m'era parso osceno,
                    non per un senso vano di moralità,
                    che in me non c'è,
                    e nessuno s'era curato di me,
                    chi sa...
                    O la sconcezza era in me...
                    o c'era l'ultimo avanzo della purità.
                    M'era, chi sa perché,
                    sembrata quella sera
                    terribilmente pesa
                    la gamba
                    che la buona vicina di destra
                    teneva sulla mia
                    fino dalla minestra.
                    E in fondo...
                    non era che una vecchia usanza,
                    vecchia quanto il mondo.
                    La vicina di sinistra,
                    chi sa perché,
                    non mi aveva assestato che un colpetto
                    alla fine del pranzo, al caffè;
                    e ficcatomi in bocca mezzo confetto
                    s'era voltata in là,
                    quasi volendo dire:
                    "ah!, ci sei anche te".

                    Quando tutti si furno alzati,
                    e si furono sparpagliati
                    negli angoli, pei vani delle finestre,
                    sui divani
                    di qualche romito salottino,
                    io, non visto, scivolai nel giardino
                    per prendere un po' d'aria.
                    E subito mi parve d'essere liberato,
                    la freschezza dell'aria
                    irruppe nel mio petto
                    risolutamente,
                    e il mio petto si sentì sollevato
                    dalla vaga e ignota pena
                    dopo i molti profumi della cena.
                    Bella sera luminosa!
                    Fresca, di primavera.
                    Pura e serena.
                    Milioni di stelle
                    sembravano sorridere amorose
                    dal firmamento
                    quasi un'immane cupola d'argento.
                    Come mi sentivo contento!
                    Ampie, robuste piante
                    dall'ombre generose,
                    sotto voi passeggiare,
                    sotto la vostra sana protezione
                    obliare,
                    ritrovare i nostri pensieri più cari,
                    sognare casti ideali,
                    sperare, sperare,
                    dimenticare tutti i mali del mondo,
                    degli uomini,
                    peccati e debolezze, miserie, viltà,
                    tutte le nefandezze;
                    tra voi fiori sorridere,
                    tra i vostri profumi soavi,
                    angelica carezza di frescura,
                    esseri pura della natura.
                    Oh! com'è bello
                    sentirsi libero cittadino
                    solo,
                    nel cuore di un giardino.
                    -Zz... Zz
                    -Che c'è?
                    -Zz... Zz...
                    -Chi è?
                    M'avvicinai donde veniva il segnale,
                    all'angolo del viale
                    una rosa voluminosa
                    si spampanava sulle spalle
                    in maniera scandalosa il décolletè.
                    -Non dico mica a te.
                    Fo cenno a quel gruppo di bocciuoli
                    che son sulla spalliera,
                    ma non vale la pena.
                    Magri affari stasera,
                    questi bravi figliuoli
                    non sono in vena.
                    -Ma tu chi sei? Che fai?
                    -Bella, sono una rosa,
                    non m'hai ancora veduta?
                    Sono una rosa e faccio la prostituta.
                    -Te?
                    -Io, sì, che male c'è?
                    -Una rosa!
                    -Una rosa, perché?
                    All'angolo del viale
                    aspetto per guadagnarmi il pane,
                    fo qualcosa di male?
                    -Oh!
                    -Che diavolo ti piglia?
                    Credi che sien migliori,
                    i fiori,
                    in seno alla famiglia?
                    Voltati, dietro a te,
                    lo vedi quel cespuglio
                    di quattro personcine,
                    due grandi e due bambine?
                    Due rose e due bocciuoli?
                    Sono il padre, la madre, coi figlioli.
                    Se la intendono... e bene,
                    tra fratello e sorella,
                    il padre se la fa colla figliola,
                    la madre col figliolo...
                    Che cara famigliola!
                    È ancor miglior partito
                    farsi pagar l'amore
                    a ore,
                    che farsi maltrattare
                    da un porco di marito.
                    Quell'oca dell'ortensia,
                    senza nessun costrutto,
                    fa sì finir tutto
                    da quel coglione del girasole.
                    Vedi quei due garofani
                    al canto della strada?
                    Come sono eleganti!
                    Campano alle spalle delle loro amanti
                    che fanno la puttana
                    come me.
                    -Oh! Oh!
                    - Oh! ciel che casi strani,
                    due garofani ruffiani.
                    E lo vedi quel giglio,
                    lì, al ceppo di quel tiglio?
                    Che arietta ingenua e casta!
                    Ah! Ah! Lo vedi? È un pederasta.
                    -No! No! Non più! Basta
                    -Mio caro, e ci posso far qualcosa
                    io,
                    se il giglio è pederasta,
                    se puttana è la rosa?
                    -Anche voi!
                    -Che maraviglia!
                    Lesbica è la vaniglia.
                    E il narciso, quello specchio di candore,
                    si masturba quando è in petto alle signore.
                    -Anche voi!
                    Candidi, azzurri, rosei,
                    vellutati, profumati fiori...
                    -E la violaciocca,
                    fa certi lavoretti con la bocca...
                    -Nell'ora sì fugace che v'è data...
                    -E la medesima violetta,
                    beghina d'ogni fiore?
                    fa lunghe processioni di devozione
                    al Signore,
                    poi... all'ombra dell'erbetta,
                    vedessi cosa mostra al ciclamino...
                    povero lilli,
                    è la più gran vergogna
                    corrompere un bambino
                    -misero pasto delle passioni.
                    Levai la testa al cielo
                    per trovare un respiro,
                    mi sembrò dalle stelle pungermi
                    malefici bisbigli,
                    e il firmamento mi cadesse addosso
                    come coltre di spilli.
                    Prono mi gettai sulla terra
                    bussando con tutto il corpo affranto:
                    -Basta! Basta!
                    Ho paura.
                    Dio,
                    abbi pietà dell'ultimo tuo figlio.
                    Aprimi un nascondiglio
                    fuori della natura!
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