Le migliori poesie inserite da Dario Pautasso

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Scritta da: Dario Pautasso

Colui che non può amare

Vieni la notte
nelle ore più fredde
e raccontami dell'amore.
Liberamente raccontami:
dei tuoi baci silenziosi
dei nudi corpi e delle bocche
insaziabili.
Raccontami nella notte
che di giorno non ci colga
la vergogna.
Raccontami perché io sappia;
sciogli un poco queste catene
di paura.
Io son colui che non può amare.

Raccontami della pelle umida
di trepidazione
degli occhi folli di passione.
Raccontami di focosi abbracci
e tenere carezze e audaci parole.
Sciogli un poco questa corda
che mi tiene stretto al palo dell'oblio.
Io son colui che no può amare.

Quando grande è l'amore
per un corpo piccolo come il mio,
per un sorriso così solo.
Quanto grande è l'amore
che giace nel tuo sguardo.
Raccontamelo ora ch'è notte
che la vergogna non ci colga
alle luci del primo sole.
Parlami degli avvalli del corpo
dei sorrisi maliziosi e del
delicato suono del piacere.
Schiudi il fiore che non sa sbocciare
nel mio ventre tremante.
Io son colui che non sa amare.
Composta sabato 8 giugno 2013
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    Scritta da: Dario Pautasso

    E' l'angoscia

    Se guarderete tra la gente
    vedrete un uomo che non è un uomo.
    È un soffio di fiato che non è fiato.
    È un'ombra.
    Quest'uomo che non è un uomo
    porta il peso di tutte le incomprensioni
    di tutte le esistenze del mondo,
    da sempre:
    è l'angoscia.
    Ha due braccia che sono travi
    e un sorriso che è un pozzo
    dove cadono le espressioni degli altri
    senza lasciare traccia.
    Niente speranze, niente sogni,
    nessun segreto da proteggere;
    il sole è pallido anche a maggio:
    è l'angoscia.

    Quest'uomo stravolge il cosmo
    anche quando questo vuol starsene fermo,
    perché le cose non sono cose
    ma sono non-cose. E la vita non è vita,
    è non-vita.
    Così le stelle si confondono.

    Egli non appartiene alla terra,
    non rientra in nessuna categoria,
    è solo nella sua lotta.
    Non può non essere solo
    perché, solo, lotta contro il se stesso solitario.
    Questo fiato che non è un fiato
    vorrebbe gioire
    ma se lo fa tremano le labbra e smette subito
    e se vuole piangere
    non c'è lacrima che gli bagni la guancia:
    è l'angoscia.

    Quando quest'ombra comprende che è essenziale
    a questo mondo, quando ci crede davvero,
    quando accetta che non può esistere una forza oscura
    che gli stringe le membra e gli affanna la mente
    più forte di lei,
    se questa forza è la somma dei suoi stessi pensieri
    che sono il suo Io,
    quest'ombra smette d'essere ombra,
    smette d'essere fiato,
    smette d'essere uomo.
    È più di un uomo:
    è un uomo che piange
    che ride
    che ama.
    E il sole scalda la pelle.

    Anche le stelle si riorganizzano.
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      Scritta da: Dario Pautasso

      La tristezza

      La tristezza è il fiore più bello
      che non schiude mai,
      è un passo incerto
      dove tutto è luminoso,
      è un sole primaverile
      sempre velato da nubi sottili.

      La tristezza è il canto di un uccello
      dietro una finestra chiusa,
      è un volto limpido
      che non dice niente,
      è un bacio dato a labbra strette
      che non ricorderai.
      La tristezza è un suono lontano
      che più rincorri
      più s'affievolisce.

      la tristezza è un bimbo
      dagli occhi meravigliosi
      che corre
      da solo.
      Composta martedì 2 luglio 2013
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        Scritta da: Dario Pautasso

        Melodramma notturno

        Con i tuoi occhi che sembrano mutare
        di colore ad ogni tua espressione
        e quelle mani che io immagino
        sempre tese a cogliere un fiore,
        chissà se dentro soffri un po',
        ogni tanto.

        Con quel tuo incedere incantato
        viziata dai colori delle stagioni:
        mentre parlo ti scopro persa
        ad ammirare una nuvola veloce;
        ti scuoti, poi mi dici: va bene così.
        Chissà se piangi certe notti
        quando il cerchio stringe anche l'anima
        quando la lancetta segna un tempo
        indefinito.

        Con le tue labbra di fragole mature
        e il corpo già teso ad un orizzonte
        che io non riesco a cogliere,
        chissà se talvolta ti senti sola
        se hai paura di quel che non si vede.
        Chissà.

        Un giorno forse me lo dirai
        e sarà più bello sapere
        che non sono troppo lontano,
        che quasi quasi, se allargo le mani,
        posso abbracciarti.
        Composta martedì 25 settembre 2012
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          Scritta da: Dario Pautasso

          L'ultima volta

          L'ultima volta che ho baciato
          i tuoi occhi ero calmo
          come il suono di un ruscello
          lontano.
          Ero dolce quando già l'onda
          cresceva dentro un cuore
          riarso.
          Avrei voluto che le mani
          continuassero a non tremare
          per carezzarti i fianchi
          ma già il tuono rombava
          incalzante
          nella mia mente.

          L'ultima volta che ho baciato
          i tuoi occhi
          sapevo che il muro
          stava crollando
          eppure il sorriso ci rassicurava:
          piangevi di gioia
          prima del tuono
          prima che l'onda mi sommergesse,
          ancora.

          L'ultima volta che ho baciato
          i tuoi occhi
          ho sfiorato una lacrima
          che innaffiava la tua vita
          così genuina,
          forte: il fiore più bello.

          L'ultima volta
          già le foglie del mio albero
          si staccavano man mano
          lievi ed atroci
          tra il giallo accecante e il rosso dolente
          nella nera pozza
          degli addii.
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            Scritta da: Dario Pautasso

            Un duetto per uno soltanto

            Lasciai sollevare ogni emozione
            Come un volo di impavidi pulcini
            Ed esse, sicure, si appoggiarono ai miei soffitti
            Nude come semi di girasole
            Bianche come mani fredde.

            Per giorni non seppi che vedere con gli occhi
            Tutto era così oscuro e saggio

            Non provare più nulla - diceva la carogna in sogno
            E ci sarà solo un vulcano di sofferenza -

            Mi chinai a raccogliere un pensiero
            Tra i lacci aggrovigliati delle mie basse maree
            Ad uno ad uno si prestarono ancora tutti
            Ridiscendevano nell'incavo
            Come petali rossi, affocati...
            Chi alla bocca, chi alle mani
            I miei occhi li osservavano
            Le mie narici li fiutavano.

            Rinvenni ricco e tragicamente sconfitto
            Ogni cosa al suo posto
            Dio - urlai. Spegnate tutto questo
            Sollevate la mannaia! -

            Un sole, basso come una stella
            Mi chiamò dalla collina...
            Un secondo.
            E il mio stomaco tornò a torcersi.

            Come da millenni.
            Composta lunedì 21 dicembre 2015
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              Scritta da: Dario Pautasso

              Temporale estivo

              Da lontano s'insinua
              con piede veloce;
              soltanto più giace, sull'orizzonte,
              ancor
              un abbaglio di luce,

              un tumulto!
              poi delle foglie
              un frusciare,
              un fremer di fronde.
              Dall'alto risponde
              una coltre di scuri colori:
              si scuote la sera.

              Con piede veloce s'insinua:
              in un attimo non c'era,
              poi c'è,
              ansimando forte,
              poi subito quieto,
              fremendo piano
              riparte.
              Sfrega le corde del cielo
              il rigido vento
              con suono di tetro
              lamento.

              S'è spento l'ultimo baglior.

              Una goccia improvvisa
              ne annuncia altre cento:
              s'annacquan i campi
              e le vie
              tra i lampi
              s'incendian fugaci:
              verdi rovi di luce rovente;
              qui uno schianto
              violento,
              là un tonfo più fioco
              altrove spaventa.

              Il pianto si sfoga
              s'accende
              cade
              riprende...

              Poi già è un bruire
              più lieve,
              l'aria greve s'assesta
              si placa la sferza,
              la forza
              del cielo s'appiana.

              La pioggia è lontana:
              schiarisce il penisero,
              ma tutt'attono, più sordo,
              un fremer leggero
              al di là della piana
              n'è il fiero
              ricordo.
              Composta venerdì 15 febbraio 2013
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                Scritta da: Dario Pautasso

                La paura

                S'insinua attraverso spiragli
                d'insospettabile leggerezza
                omicida del genio,
                della fantasia
                del sorriso
                Omicida, la paura.
                Ci sono vecchi morti di paura
                da una vita
                bambini che muoiono di paura
                tutti i giorni.
                Il premio di questa nostra società
                il premio della nostra cristianità
                la nostra ultima raccomandazione:
                è la paura.

                Aggrovigliata alle radici della vita
                essa sta allerta,
                insensibile al sole della meraviglia.
                Aspetta.
                Silente.
                Perfetta.
                Come una lama di coltello
                come un serpente
                come una cascata;
                come la sabbia rovente
                aspetta miope l'alta marea
                e spegne gli ardori giocosi
                spegne le nostre risa
                spegne le nostre nudità
                ci copre del manto mesto della follia:
                è la paura.

                Ci sono milioni di padri
                milioni di madri
                già addestrati ad impugnare
                il manico del terrore al tuo primo passo,
                quando ti guardano con gli occhi
                gravidi di insicurezza
                quando ti uccidono il primo sorriso
                per un loro cruccio
                che non puoi conoscere.
                E non conoscerai mai.
                Nuvole scure sull'oceano della libertà.
                Quando regolano le tue prime avventure
                con mano ferma
                e la mente rigida di un vigile urbano.

                Non sono i padri
                Non sono le madri
                loro sono lo strumento, incolpevole.

                Cercate tra le abitudini
                cercate nella morale quotidiana
                cercate dove le labbra scoprono sorrisi
                di plastica
                cercate nella Regola.

                La fonte della paura
                sta dove non ce n'è traccia.
                Dove tutto è sepolto
                sotto metri di impietosa gentilezza.

                Vogliono figli spaventati
                e spaventano chi li genera.

                Così camminiamo tutti i giorni
                paranoici del niente
                dimentichi della fiducia
                dimentichi del respiro caldo
                dell'affetto
                dimentichi della giovinezza.

                Nessun uomo ha scordato
                la sua sbagliata giovinezza.
                Tutti gli altri
                i soldati perfetti
                li puoi ascoltare piangere
                solitari
                tra le mura di una stanza
                la sera
                quando il sole cade:
                è la loro musica di redenzione.
                Composta venerdì 15 marzo 2013
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                  Scritta da: Dario Pautasso

                  Un uomo adulto

                  Mi dissero che era tempo che "mettessi la testa a posto"
                  Che "mi assumessi le mie responsabilità di uomo adulto";
                  come se una persona sola ne avesse qualcuna.
                  Non avevo scelto la loro strada
                  Non ero attratto dal successo
                  Non avevo donne che chiedessero un "amore maturo"
                  Da onorare con mazzi di fiori e brillanti
                  Ad una qualsiasi delle decine di feste che ricorrono nell'anno.
                  Niente figli, nessun ruolo politico, amministrativo, nulla.
                  C'ero io, e i miei quattro amici mezzi ubriaconi
                  E quelle ragazze che non chiedono altro che un po' di compagnia
                  Una volta al mese, un abbraccio forte, di una notte
                  Che valga per molto più.
                  Gente che ti vuole bene, davvero,
                  Anche se non la vedrai mai girarti attorno tutto il giorno
                  Con quell'eterno bisogno di dirti qualcosa, qualunque sia.

                  Avevo un solo paio di scarpe e mi bastavano
                  Nessun abito da cerimonia
                  Non portavo un bell'orologio al polso
                  Scintillante di benessere.
                  Mi son sempre tagliato i capelli da solo
                  Nemmeno poi tanto male,
                  Niente cure di bellezza
                  Niente sessioni di palestra per scaricare il nervoso.
                  Avevo due cani e tre gatti, quelli sì, erano proprio miei.
                  Ma ne ero innamorato, e quando si ama una responsabilità è un piacere.
                  Ogni giorno stavo a guardarli scorrazzare
                  li accarezzavo per ore e loro erano così gioiosi e appagati.
                  Sì, avrei rinunciato alla pasta della miglior etichetta
                  Per assicurargli ancora i loro bocconcini.

                  Ma volevano che "mettessi la testa a posto"
                  Per chi, a che scopo e cosa volesse dire davvero
                  Non l'ho ancora capito.
                  Mi dissero: "comprati una macchina, ti sarà di stimolo"
                  E lo dissero ancora
                  E poi ancora.
                  Infine cedetti.
                  Ne scelsi una nuova, lucida, abbastanza bella.
                  Se dovevo essere responsabile
                  Volevo esserlo con un po' di stile.

                  Oh, sapeste, com'era bello avere la testa già più a posto
                  Con una macchina
                  E una rata da pagare tutti i mesi.
                  Stavo crescendo, stavo diventando adulto.
                  Comprai anche un paio di scarpe nuove
                  E mi misi a lavorare un po'
                  Perché una rata va pagata se si vuol essere responsabili.
                  Scoprii che ogni cosa che facevo in più
                  Ogni mio passo verso la maturità
                  Richiedeva che io producessi di più
                  Lavorassi di più
                  Che più soldi passassero tra le mie mani.
                  Cominciai a lavorare sodo
                  Troppo sodo per uno che ha sempre avuto solo un paio di scarpe
                  E così la sera rincasando, stanco, mi dicevo
                  Ancora due giorni e mi son pagato la rata della macchina.
                  Andavo a dormire pensando che ero ormai davvero maturo
                  Civilizzato.

                  Persi i miei quattro amici mezzi ubriaconi
                  Non avevo più tempo per le nostre ampie chiacchierate
                  E i nostri sogni immensi, eppure così semplici.
                  Conobbi altra gente,
                  di quella col desiderio di apparire sempre irreprensibile
                  mi parlavano della cucina nuova
                  e del tempo
                  e della figlia di quel tale che si sposa
                  e sorridevano sempre
                  come chi si trascina in faccia una perenne menzogna.

                  Persi le ragazze che dormivano con me
                  quelle che amavo per una notte sola
                  e molto più.
                  Non avevo più la forza di stare una notte intera sveglio dentro un abbraccio.

                  Conobbi altre donne, alcune molto serie,
                  Sempre nervose,
                  Sempre con qualcosa di urgentissimo da portare a termine
                  Con un lamento sempre penzolante dalla lingua
                  Come un bisogno fisiologico.
                  E parlavano così tanto
                  E dicevano così poco.

                  Divenni solo
                  Ma solo veramente
                  Senza amore
                  Con una personalità traballante
                  Senza amici mezzi ubriachi con cui è bello parlare.

                  Ero solo e responsabile
                  Anche il mio conto in banca parlava di maturità
                  E la gente che incontravo per la strada
                  Mi sorrideva forte e diceva
                  "come sei cambiato, che bell'aspetto,
                  si vede che hai messo la testa a posto".

                  Anche i miei animali divennero troppo impegnativi:
                  Avevo così poco tempo!
                  Mi parvero invecchiati di molto
                  E più tristi, più lenti, molli.
                  Gli vuotavo mezza scatola di umido in una ciotola
                  E li lasciavo nella loro solitudine
                  Mentre io mi rifugiavo nella mia.
                  Divenni civilizzato.
                  Così.

                  Un giorno acquistai un bell'abito per un matrimonio
                  Di un tale, non so bene chi fosse,
                  E per tutto il tempo del pranzo parlai
                  Conpersone eleganti e perfettamente mature
                  Di quella gente che non ha voglia di far niente
                  Che non si prende le sue responsabilità
                  Di quelli eterni bambinoni che
                  Finiscono sempre in qualche pasticcio
                  E poi si aspettano che qualcuno li tiri fuori.
                  Ah!...

                  Tutti annuivano e ridevano fragorosamente.
                  Io con loro.
                  Eravamo tutti compiaciuti.

                  Poi andai a casa
                  Solo
                  Io e il mio bel vestito.
                  Vuotai mezza scatola di umido ai miei animali
                  Invecchiati.
                  E andai a dormire.
                  Composta giovedì 28 marzo 2013
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                    Scritta da: Dario Pautasso

                    Non adesso

                    Ti dicono alzati
                    Ti dicono di sorridere
                    Ti dicono la vita è bella!
                    Ti dicono un seme muore per ridare vita...
                    Hanno gran voce e non fanno nulla, nulla.
                    Portano via ratti ratti i loro bambini
                    Che guardano un uomo che soffre:
                    "non è bene che vedano piangere, capisci"
                    S'arrabbiano, "smettila di piagnucolare!"
                    Ti dicono, "ehi anche io sono a pezzi"... sai:
                    Le tasse da pagare, il mutuo, la cucina nuova
                    Mentre tu hai la morte nel petto
                    Ed infinite ghirlande d'universo si sfilacciano
                    Al suono troppo forte della vita che ti circonda
                    e ruota sulle strade infinite del mondo.

                    Ti dicono alzati
                    Ti dicono di sorridere
                    Ti dicono la vita è bella
                    Poi ti lasciano solo, disteso, sfinito, morto
                    Come una corteccia avviluppata dal tempo
                    Come un fiore di gelido vento
                    Come uno squarcio di luce verde in un tempio,
                    Hanno adempiuto al loro dovere:
                    hanno gettato le loro frasi circostanziali.
                    Amico, se non capisci, non ti biasimo
                    Non è facile. Ma risparmiami tutto questo.
                    Leggimi un libro che parli leggero
                    Di spazi comprensibili e finiti
                    Di visi normali, di sorrisi corretti.
                    Suonami la tua vecchia chitarra
                    Sposta quest'aria di malattia con note
                    Più gentili. Non a me l'Ipocrisia.
                    Non adesso.
                    Composta venerdì 18 giugno 2010
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