Non sei la morte e neppure un sorriso;
voluttà ch'è impressa sulle tue labbra
e ordito lenocinio sul tuo viso
si contemperano oscuri sull'ambra

del tuo sassofono. Ora sogguardi algida
le trine del tuo davanzale e forse
le voci dello sferzante sinibbio
s'inflettono e s'addormentano leni

fra le tue dita. Ancora una tua vita
t'è sfuggita rapinosa e repenta...
e un incauto petalo s'adagia
pencolante d'ansia sopra il tuo cuore.

Un guardo tuo illumina l'aria e smorza
taciturno accanto ad una stupita
fata addormentata; dipoi, reclina,
sotto le tue ciglia i tuoi occhi tacciono

come, prospiciente l'aureo letto,
vanisce invigilato il tuo sassofono.
Sebastiano Vanazzi
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    Sei la china in cui si stempra la notte;
    soltanto abbarbagliano queste crepe
    d'asfalto nell'uggia abbozzata luci
    riecheggiate fra un discosto lampione
    e lo scalpiccio del tuo passo isocrono.

    Sulla strada taciturna la tua ombra
    incede ponderosa nella fuga
    da una rimembranza che non è tua:
    impronte seriche ed uranoliti
    s'increspano fra le tue dita; un'ambra

    balugina distratta sopra un gelso:
    tu la cogli, non appena un'incauta
    pioggia lambisce il cristallo che porti
    nei tuoi occhi. Entro il cerchio silenzioso
    del tuo profilo, una lacrima svetti.

    La lasci cadere in un tuo sospiro,
    ritorni verso casa, persuasiva
    che tribolare senza avvedersene
    non si preroga alle zuffe di piume...
    il pencolare d'ogni tuo pensiero

    quella sera era pegno d'infinito.
    Sebastiano Vanazzi
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      Corimbi anelanti sommossi dal vento,
      rabido contrappuntare ai profili
      scarruffati di cime profondate
      nella nebbia roca, vocio attonito
      che rabbercia il silenzio abbarbagliato
      fra i ramigli di novembre, smagliare
      d'un refe di memorie che pencola
      fra il muto carcame di foglie aggricchiate,
      aggallare di pietre affastellate:
      un ponte e poi il varco. Arrivederci
      – fugano sistri ctonî la belletta
      che vagolava l'ultimo fantasma –
      oltre le infiorescenze, a finisterre.
      Sebastiano Vanazzi
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        La sciaradda fumigante del vespro
        ha punte di cromorno che soltanto
        il lento commovimento del vento
        sa pazientemente addipanare.

        La nota che l'eco adusta riverbera
        è una scheggia smorzata sopra il rame
        dell'orizzonte; rameggia un silenzio
        nel profondo dell'ora. Stride querula

        l'oscura epifania della sera;
        si snodano i destini: come tónfano
        attempato disperdono la brace
        promessa all'argento striato alcuni

        accordi in lontananza; una voce alida
        si prova a modularli con arpeggi.
        Ma il turbine ondoso con le criniere
        d'un diospero sommuove anche il tuo

        albagioso parlare. S'incupisce
        la stanza trinata mentre lo spettro
        della finestra vanisce; una brezza,
        dipoi un attonito bisbigliare:

        il profilo marezzato si spunta
        di frondi magnioliacee, auso antro
        d'un poggio anellato in derelizione.
        Stagliata contro romite nuvole
        di cenere, svaria roggia la voce

        arrochita d'una scaglia di luna.
        Sebastiano Vanazzi
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