Poesie inserite da Iris Vignola

Questo utente ha inserito contributi anche in Frasi & Aforismi e in Racconti.

Scritta da: Iris Vignola

Ritratto di spessore

Ritratto di spessore,
il firmamento,
tinto di vermiglio,
fin al confine del mare.
S'è inabissato il sole,
nell'acque
divenute fiamme liquefatte,
fuoco rovente
che sa scaldare il cuore.
Magico rituale, all'imbrunire,
consacra la bellezza
e la magnificenza del creato,
inimitabile,
lungi dall'emulare sulla tela,
per la grandiosità
della sapienza dell'autore.
E tutto, poco a poco, si scurisce,
nel mentre l'ombre inseguono la luce.
Un testimone alato
resta ritto a osservare,
immobile,
nella sacralità di tal contesto.
Le bianche ali sue paion di gesso.
Lo sguardo suo sorvola tutt'intorno,
beandosi d'immenso materiale
e la preghiera di ringraziamento sale,
all'immateriale Regno sulle nubi,
atta ad elevarsi
al cospetto del suo Celeste Padre.
La sinfonia degli Angeli,
suoi simili,
risponde.
Vota la poesia: Commenta
    Scritta da: Iris Vignola

    L'infinito

    Il suo tutto,
    quel cuscino poggiato sul letto,
    circondato,
    acciocché rimanesse
    nell'abbraccio perenne.
    Il suo capo reclino,
    nella posa dormiente.
    Sul suo viso assopito,
    un sereno riposo
    nel cingere sogni e speranze,
    cimentandosi in eteree danze.
    Dimensione irreale,
    in assiduo conflitto al reale.
    Nel tenerlo ben stretto,
    si cullava tra sogno e realtà,
    suggestiva altalena
    alienante la mente,
    proiettata oltre il tempo e lo spazio,
    tra timore e coraggio.
    Era il tutto,
    quel cuscino poggiato sul letto,
    che piegava le labbra in un dolce sorriso.
    L'infinito,
    stringea nel suo abbraccio deciso.
    Vota la poesia: Commenta
      Scritta da: Iris Vignola

      Terreno incolto

      Terreno incolto,
      in cui coltivavo sogni, come fiori,
      che assiduamente inacidivano assai presto,
      bensì li bagnassi con l'acqua d'un corso
      nominato speranza,
      giacché fresca al tatto
      e cristallina alla vista.
      Giorno dopo giorno,
      ora dopo ora,
      minuto su minuto,
      desiavo lo spuntare d'un germoglio,
      peraltro invano,
      quantunque all'assolate pietre,
      s'abbarbicasse disattesa flora profumata,
      dalle radici nate tra zolle desolate,
      presunte inappropriate a ogni genere di vita.
      Nulla di ciò ha valor d'impedimento, al mio desio,
      dacché la speme è ancor nutrita
      da coscienza del pensiero positivo,
      resistente all'inclemenza negativa,
      che ben sa rinnegar il compimento.

      Ancor coltivo sogni
      in aggiunta a desideri,
      avendo asperso i semi nel cuor dell'infinito,
      in terreno riscaldato
      per grazia dell'amore perfetto e assoluto,
      bagnato da rivoli allegorici
      del fluido sempiterno,
      emanato da purezza e candor d'ampolle
      confacenti ad anime illibate.
      Pertanto, attendo
      disdegnando la chimera
      del risveglio d'un'aurora sibillina;
      che sia invero volitiva realtà,
      il sagace albore, da cui nasce la rugiada adamantina,
      destinato a dissolver l'ignorante oscurità,
      rivelante misteri inasprenti tormentosi eventi
      e a palesar desii appagati, dapprima proibiti,
      nonché sogni arretrati, ch'avran sapor di miele,
      nel dolce retrogusto.

      L'amaro allor si sarà dissolto,
      alfin, al mio palato.
      Vota la poesia: Commenta
        Scritta da: Iris Vignola

        Amore e psiche

        Bellezza d'una dea, mortale Psiche,
        d'Amore amante;
        in notti appassionate,
        carpivan reciproci misteri
        dei lor corpi appen'adolescenti.

        Di tenebra occultati,
        i volti sconosciuti,
        ma i cuor battean unanimi,
        all'apice d'ardor d'istinti innamorati;
        memorabili amplessi infuocati di passione.

        Galeotta fu la goccia dal lume traboccante,
        d'olio bollente, che risvegliò Amore;
        quell'attimo di luce lo sorprese,
        svelando il viso suo ancor dormiente
        alla sua amata, sublime ispiratrice.

        E se ne andò indignato, lasciandola alla sorte,
        che la vide prostrata, smarrita, infelice.
        Amor l'avea subitamente abbandonata,
        lasciandola sconfitta,
        raminga, a supplicar la morte.

        Discese in quel degl'inferi, soltanto per Amore,
        final cruciale prova in cerca di bellezza;
        Proserpina tramava
        e propinò l'ampolla priva della stessa,
        bensì fosse riempita dell'infernale sonno.

        Così la trovò Amore, supina nell'oblio;
        libravan le sue ali,
        mentr'egli s'inarcava ed ella s'allungava,
        m'ancor nel sonno er'addentrata,
        verso quel bacio ambito che li univa.

        Le labbra si cercavan a oltranza,
        purtuttavia senza toccarsi,
        nel suggestivo mero contemplar di sguardi.
        Dolcezza straripante di attimi esclusivi,
        nello sfiorar d'un seno ignudo e teso.

        Desio innegabile, sebbene sottinteso,
        d'Amore per la sua diletta Psiche.
        Vota la poesia: Commenta
          Scritta da: Iris Vignola

          D'esser croce

          Piange il cielo,
          forgiando in perle trasparenti
          amare lacrime che scendono;
          sofferenza ineluttabile,
          cagionata dall'onta dell'umana alienazione.
          Acquitrini misti a fiori,
          per mondar ferite antiche,
          ma tutt'ora sanguinanti
          sulla carne trascendente
          di Colui che fu tradito e martoriato,
          poi reietto e crocifisso.
          Chiodi fomentati da peccati
          ne brandiscono l'aspetto,
          parimenti a inquietante arma;
          ribattuti di perpetuo da disparate mani,
          trafiggono altresì quel legno
          d'altrui amore infradiciato
          in comunione a rosse macchie d'innocenza,
          di cui l'incessante urlo è inascoltato da chiunque,
          sebbene squarci il silente fragore della morte,
          rigettando, d'esser croce, la sua colpa.
          Vota la poesia: Commenta
            Scritta da: Iris Vignola

            E l'angelo guardò la luna

            E l'Angelo guardò la luna,
            contemplandola come Venere sognante,
            attonito e assorto, senza distoglier sguardo,
            dacché, già, l'avea notata,
            la notte, al suo usual incedere fatato,
            mai rimirandola come in cotal momento.

            Parea dipinto,
            sì talmente immobile com'era, da parer finto,
            tutt'uno, sopra l'esiguo scoglio che l'accoglieva.
            Turbato, com'un innamorato, ebbro d'ardore,
            ch'andava a intonar la serenata ch'avea nel cuore.
            S'avesse avuto voce, per quel cantico d'amore!

            Regina della notte, al palesars'in cielo,
            enfasi e stupore, per l'astro incoronato d'alone luminoso,
            che riflettea sul mar barlumi luccicanti a pelo d'acqua,
            brillanti luccichii d'argento,
            sopr'al candido riverbero, delineante strana rotta.

            Rotta del desiderio... pensò l'Eccelso.
            E l'Angelo guardò la luna,
            pensando alla sua veste immacolata,
            perpetuo, il suo scrutare solitario,
            nel tempo suo, ch'andava a terminare,
            gioendo, di splendor ch'avrebbe perso,
            non soffermandosi, quell'attimo d'eterno.
            Composta domenica 6 dicembre 2015
            Vota la poesia: Commenta
              Scritta da: Iris Vignola

              Celestiale è

              Celestiale è 'l color della speme, mai muore,
              nutrita al levar del mattino,
              disacerba 'l rancor suffragato dal male,
              di candor fanciullesco s'avvolge.

              Emulando parvenza del mare,
              già sottratta in partenza al cielo ceruleo,
              estorce la tinta cangiante,
              nell'intenso desio di rinascer costante.

              Nel celeste mantel virginale
              si cela, nell'intento di trarne conforto,
              la preghiera che sale è sagace,
              cita l'inno a schiacciare il serpente.

              Celestiale è la nota d'intenso vibrare,
              ch'ancor s'ode, nel porre l'udito,
              quale musica astratta, nel cosmo sapiente,
              un sussurro vitale che prende, struggente.

              Linfa fresca infiamma le vene,
              nel tripudio di coglier respiro,
              nell'immenso fluir di quel canto ancestrale
              stimolante  'l coraggio interiore.

              Celestiale è l'amore che smuove ogni dove,
              che v'è intriso, nell'intrinseco spazio,
              ch'ha certezza soltanto sentito nel cuore,
              quale magico incanto perpetuo e sgorgante.

              Immortal tale fonte primaria, di suono si tinge,
              negli armonici accordi che giungono all'io,
              gorgheggianti com'echi ch'espandono l'aere,
              risponde fervente 'l palpito d'un cuor nascente.
              Composta martedì 13 dicembre 2016
              Vota la poesia: Commenta
                Scritta da: Iris Vignola

                Inver nacqui

                Atmosfera rarefatta,
                galleggiando, nel limbo ch'amavo assai tanto,
                protezione e piacere, nel guscio racchiusa,
                fors'anche sarei mai, da lì, sgusciata.
                non assaporando però 'l profumo del tuo seno.
                Inver nacqui dal grembo che scoprii materno,
                vidi la luce, nell'oscurità d'una notte bruna,
                abbandonando alfin quella mia culla
                che, senza sosta, mi ninnava,
                in cui, beata,
                ambivo alle carezze della mano delicata.
                Sonorità latente giungea a me soffusa,
                voce, come nenia, che m'acquietava
                e m'addormentava,
                facendomi sognar la bocca che narrava
                oppur cantava la soave ninna nanna.
                Dolci sensazioni d'un'epoca passata,
                d'una coscienza non ancor delineata,
                di cui 'l ricordo s'è perso già nascendo
                e manca a questo cuor ch'ancor t'acclama,
                ch'ancor accanto ti vorrebbe, mamma.
                Composta mercoledì 14 dicembre 2016
                Vota la poesia: Commenta
                  Scritta da: Iris Vignola

                  Come giulietta so d'ascoltar, d'usignolo, il dolce canto

                  Verseggia ancora l'usignolo,
                  accovacciato sul ramo del salice che piange,
                  melodico il suo suono,
                  ne intona il pianto, nel gorgheggiar intenso,
                  dopo la notte insonne, nel deliziar l'udito.
                  Rimbalza l'eco,
                  nella campagna circostante,
                  ch'attendeva l'alba, per giungere al risveglio.
                  L'oscurità notturna
                  m'è comparsa più opprimente del consueto.
                  Priva di vita, s'è palesato solamente il nulla,
                  nell'inghiottire il tutto.
                  La luna è migrata alla mia vista,
                  s'è rifugiata altrove, anziché portar conforto.
                  Funereo quel cielo nudo, a deluder il morale.
                  Solo triste tristezza è apparsa all'orizzonte,
                  nella sua veste lunga e nera,
                  in cui le lacrime si forgiano a tessuto.
                  Inaspettata, s'è insinuata nella mente,
                  radicando la sua tela,
                  tal ragno, che sa circuir bene la sua preda ignara.
                  Come Giulietta, so d'ascoltar, d'usignolo, il dolce canto,
                  non dell'allodola, sul ramo.
                  Sentor di Paradiso, sebben per un momento,
                  m'assale, alle tonalità poliedriche del piccolo pennuto,
                  da far tesoro ritrovato e racchiuder nella mente,
                  onde fuggir dalla tristezza, or sofferenza, alfine,
                  nell'esistenza altalenante...
                  A tal uopo, quel canto, sigillerò nel cuore.
                  Composta domenica 16 agosto 2015
                  Vota la poesia: Commenta
                    Scritta da: Iris Vignola

                    Mi voltai... e vidi quel fiore...

                    Nel sentor d'erba bagnata, la violenza scatenata sul mio corpo,
                    dita forti mi strappavano i vestiti, lacerandomi le carni ed il mio cuore.
                    Assetato di dolore, arrancando, dissetasti la tua oscena bramosia,
                    tra le gambe insudiciate sia di terra, che di sangue.
                    Più serravo e più impazzivi, scatenando la tua furia,
                    soggiaceva, in me, la femmina, alla lotta
                    e, strappando i miei capelli, addentravi il tuo piacere
                    in quel nido che violavi e violentavi,
                    col tuo sadico furore d'una belva assatanata.
                    Mi schifasti delle mani che infilavi nei segreti del mio corpo,
                    del tuo fiato ch'esalavi dalla bocca spalancata,
                    sulle labbra mie, sfinite dalle grida disperate.
                    Del tuo umore, che spargesti nelle viscere nascoste.
                    Del mio male, appagasti la libidine crescente.
                    Te ne andasti come un vile vincitore, la tua spada nella guaina,
                    quel tuo ghigno d'un demonio... lo ricordo come allora!
                    Non più grida dalla bocca, eran morte nella gola.
                    E le lacrime di pioggia si versarono sul viso,
                    per mondarlo dal mio pianto, nel fragore del silenzio.
                    E la terra infradiciata mi donava il suo tepore, come madre, mi cullava,
                    un effluvio mi arrivò, dritto, alle nari, non me n'ero accorta prima.
                    Mi voltai... e vidi quel fiore...
                    Composta giovedì 21 gennaio 2016
                    Vota la poesia: Commenta