Poesie inserite da Iris Vignola

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Scritta da: Iris Vignola

A mio padre

Mai, per te, scrissi prima parole,
o alcuna frase, nel corso della vita,
giacché i ricordi restan vaghi,
avendomi lasciata ancor bambina...
Flash, dentro la mia mente,
riportano a quell'età solare,
dove i pensieri volavano leggeri
sull'ali bianche della spensieratezza
di quell'infanzia che m'appariva lieta,
in specie nei giorni della festa,
quando s'andava in campagna a passeggiare
con il lindo vestito domenicale,
tenuto in serbo durante la settimana.
Io, a cavallina sulle tue spalle sicure,
guardavo il mondo, trovandomi su, in alto,
a toccar il cielo con la mia piccola mano.
Anche il mio nome rammenta il tuo ricordo,
di quella notte che udì il mio primo pianto,
quando cantasti l'Iris di Mascagni,
con la possente voce or così distante,
che vorrei poter sentir anche per un istante.
Padre mio amato, perduto troppo presto,
idealizzato nel cuore e nel pensiero,
son qui a scriver, per te, d'amor, parole,
dolci come le caramelle che non mancavi di portare
a questa piccola tua figlia,
prima di dover andare in una vita celestiale,
che ti richiamava a sé,
a cui non ti potesti rifiutare.
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    Scritta da: Iris Vignola

    Al confine d'illusioni

    Speranzosi desideri,
    al confine d'illusioni,
    in silente processione,
    scanditi da barlumi di realtà
    dacché nutriti d'ambrosia e miele,
    nonché dondolati nella culla dell'arcano,
    benché alternati ad altrettanti avversi,
    quale univoco fardello
    d'infestante erba cattiva dissipata,
    si scindon dal velenoso amaro,
    tal insidiosa genesi di chimere sconfinanti.
    Dondolata soavemente
    nella speme esistenziale,
    prevenendo detto evento,
    già in partenza
    con il piglio positivo,
    mi sottraggo al dispiacere del dileggio del destino.
    Piroettando come foglia trascinata dal marino
    o farfalla strabiliante,
    in un valzer
    nell'ellissi intorno al Sole,
    prim'ancora d'un declino sopra un lido assai fecondo,
    confacente a radicare,
    dove il vento scema in brezza,
    dentro e sotto un orizzonte riportante al Paradiso,
    pongo picche al negativo
    e son plagiata di bellezza.
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      Scritta da: Iris Vignola

      Chi era colui

      Chi era colui ch'attendeva la morte,
      sotto un cielo dannato di ombre?
      Chi era colui ch'era pronto a soffrire,
      perire,
      qual segno estremo d'amore?
      Amore schernito e svilito,
      smarrito,
      in oceani di macchie sommerso.
      Tormento, nell'uomo nell'orto di ulivi
      sul far di portar la sua croce
      su spalle piagate
      da nerbo scandente lo strazio nel tempo.
      Dolore traspare da sguardo immortale,
      sul volto bagnato di sale;
      corrugata la fronte abbassata
      in preghiere all'eterno suo Padre;
      silenzio, al posto di sante parole.
      Il Dio umanizzato
      scacciava il plagiante serpente
      dall'ara del male,
      cosicché consacrarla all'inverso potere.
      Onorando l'intento divino,
      l'agnello attendeva la sorte,
      qual Figlio del Dio universale,
      da bocca di "roccia" sortito
      allorché non ancor rinnegato l'aveva.
      Il tempo impietoso arrivava
      a sancirne la fine, omicida di vita carnale.
      Chi era tal uomo diverso,
      che, scontando i peccati del mondo,
      trasudava martirio e perdono?
      La corona pressata sul capo reietto...
      Qual fonte di stille di sangue,
      lui stesso
      ogni spina conclamava reliquia.
      Chi era colui che, aspettando la morte,
      invocava suo Padre,
      sotto un cielo dannato da ombre?
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        Scritta da: Iris Vignola

        Adesso che il vento dorme

        Disseminato è il candore del manto,
        sprazzi di neve sui rami rinsecchiti e sui sempreverdi,
        dove il verde, in parte, s'è arreso al bianco maculato.
        Muro cinereo, coniato di vapore, sottrae il crepuscolo mattutino,
        quel barlume, divenente albore adamantino,
        risvegliante la coscienza e lo stupore,
        per l'astratta concezione di concreta, incantevole visione.
        Purezza di paesaggio pregna lo sguardo e altrettanta quiete, l'udito;
        anche il vento s'ea assopito tra le fronde, per scovar un nido vuoto,
        indi riposare;
        raminghi cinguettii son iti altrove, sfuggiti, all'implementar della stagione.
        Né voci, urlate o sussurrate, né canti né pianti, neppure risa attorno;
        l'atmosfera rarefatta, plasmata di gelo e di silenzio saturo altresì di solitudine,
        ha relegato ognor nelle dimore, membra intirizzite e desianti calore.
        S'ode raro palpito d'ardito cuore, a intervallar mutismo stagnante,
        col suo vivace ritmo roboante, seppur non basti a richiamar il vento.
        Or che dorme,
        vane son insensate parole, illusorie frasi d'amore;
        disillusa speranza che spirino in vetta per esser udite da orecchie insicure,
        bramanti tutt'altro che bieche menzogne ad acquietar penuria d'amore
        di chi tace
        nel sacrale limbo di pace ch'appare,
        ch'il vento non osa dissacrare, per dar immotivato corpo al niente.
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          Scritta da: Iris Vignola

          Fu ineluttabilmente amore

          Tiepide gocce calde,
          rincorrendosi sulle guance,
          lasciano rivoli di sale.
          Non più nascondo amare lacrime versate,
          ben conscia che la penombra
          non permetta loro di riflettersi allo specchio,
          dacché non noti il viso segnato dal pianto;
          viceversa, scruti l'ombra di ciò che sono adesso.
          Mai s'impone il silenzio,
          favorendo il chiasso e l'umore;
          con sussiego,
          la sua ridondante presenza m'incatena,
          mormorandomi inarticolate parole,
          a marchio dell'attesa
          per una realtà in cui mi crogiolo ancora.

          Ti vidi... Ti ambii...
          Estranea a quel che ero;
          rifuggii da me stessa,
          onde ricercar quel ch'avrei voluto essere
          e ciò ch'avrei voluto.
          In un'eterogenia di sensazioni straripanti,
          i miei sensi, svincolati da una ragione
          che l'avea fatta da padrona
          troppo a lungo,
          nel tempo sconfinato nell'assurdo,
          rinascevan a nuova vita.

          Mi vedesti... Mi ambisti...
          Circoscritto in un viver sconfortante,
          ti celavi dietro a specchi
          dacché non osservar dinanzi gli occhi inespressivi;
          eran spenti,
          parimenti ai rumori dissonanti.
          Occultato nei silenzi, rifuggiti addirittura
          alla spira d'impercettibili suoni e bisbigli,
          costante, quel timore di scoprirti ancora vivo.
          Disastrosa condizione d'una presa di coscienza;
          verità, in cui le lacrime d'un uomo,
          in atavica battaglia tra debolezza e dignità pretesa,
          mascherandosi d'apparenza,
          presero a sanguinare,
          ruzzolando sulla via del cuore

          Fu un battito di ciglia,
          cotanto ardore ricolmo di mistero
          nell'estraneità presente di ambedue.
          Fervente desiderio incontrollabile,
          l'inconsistente onda travolgente
          non dissimile
          al primario slancio istintivo
          a cui t'aggrappasti,
          simulando un naufrago,
          sottratto alla fine
          grazie al richiamo d'una sponda.

          Nell'impetuoso mare
          intarsiato di reciproci sentimenti,
          rinvenni colei che tornò ad amare.
          Estasianti baci e abbracci appassionati,
          in un rogo tutto nuovo e sorprendente,
          coronavano il nesso presupposto.
          Nuotando dentro il lago del tuo sguardo,
          lo rimiravo, annegato nel bruno mio, profondo.
          Rinnegato dai silenzi, gioivi d'esser vivo,
          saziandoti di gemiti e sussurri,
          dentro ore fatiscenti carpite all'orologio.

          Pertanto...
          Fu ineluttabilmente amore.
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            Scritta da: Iris Vignola

            Compromesso con la morte

            Orazioni, citavo alla morte, affinché mi lasciasse del tempo.
            Il suo pronto riscontro dicea:
            "Ma certo, convengo, benché il tempo restante non più t'appartenga".
            All'oscura risposta,
            un lato mi rendea indubbio conforto,
            ma l'altro palesavasi un enigma bello e buono,
            a discapito del mio pensiero speranzoso.
            Salii sul pennone d'un vascello galeotto,
            ch'ea parso ben disposto al mio fare clandestino.
            Da lassù, scrutando il cielo sì turchino,
            rievocante lunga chioma della fata di Pinocchio
            e trascritto un annuncio alquanto strano,
            lo inserii nella bottiglia, tanto assurda quanto vera,
            sì forgiata solo d'aria mista a vento,
            con l'intento che ruotasse per il mondo e ancora oltre,
            fin laddove si lambiscon i confini d'universo:
            "Tale tempo, che rimane, non ti degna il suo favore.
            D'esser tuo, non ha intenzione. Esso più non t'appartiene".
            Enunciò sorella morte, con l'aggiunta di parole,
            ben cosciente della mia aguzza mente,
            che, però, alla frase sibillina, restò inerme.
            Per cui sorse la domanda: "Ma, alfin, chi n'è il padrone?"
            Possa, dunque, chiunque legga il mio messaggio,
            far in modo di fornir l'esatta interpretazione
            o l'impertinente dubbio roderà quest'intelletto
            per il tempo ch'è rimasto.
            Detto fatto, scagliai in aere tale oggetto.
            Di riflesso, soffermai lo sguardo attorno,
            mentre il velo dell'arcano si dissolse,
            stimolando il mio sguardo ad ammirar:
            il quieto mare così immenso, cantastorie affascinante,
            che sapea ammaliar la gente, col suo immortale canto;
            le distese di montagne, dalle alture dritte al cielo,
            le lor coste, imbiancate o verdeggianti, emananti rari olezzi;
            il bel sole, fulgente di chiarore, incontrastato Imperatore,
            nel tramontar soave, di purpurea tinta s'ammantava;
            la fascinosa luna, pallida e altera, nell'imbrunir di sera,
            con rinnovato passo da Regina, avanzava fiera.
            le stelle palpitanti, come pietre iridescenti,
            rendean prezioso il manto di velluto nero.
            Stranita, alfin, sorrisi...
            L'eclettico capolavoro, d'egocentrici elementi, ambendo il mio tempo,
            sancivan, ch'attraverso, mi concedean cotal permesso:
            di sollazzar il rimirante sguardo allor fattosi attento,
            di consolar il cuore solitario, un poco affranto,
            di coronar l'eterno spirito d'immenso.
            A chi spettava il tempo mio, se non a loro?
            Ne avea ben dunque avuto buon motivo,
            d'un similare decretar, la morte;
            ovvia ragion per cui, tutto considerato,
            ebbi il buonsenso d'accettar tal compromesso.
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              Scritta da: Iris Vignola

              Grembo di terra

              Lo sguardo del cielo assiste allo scempio di morti innocenti,
              sterminio di vite concepisce piaghe nell'animo di chiunque rimanga,
              nel grembo di Terra nativa che langue,
              piangendo le perse esistenze per mano del limbo insensato del niente.
              Terrore protratto da stolte pedine ubbidienti al truce comando di morti viventi;
              in lode a sfrenati interessi, cospargono l'odio pel Verbo diverso.
              Manovrano all'ombra le sorti del mondo.
              Danaro e oro nero, ricchezza e potere, son fame ch'ambiscon a soddisfare.
              Pertanto, s'evince ch'assai tristemente il grembo di Terra s'impreme di linfa vitale;
              si compion misfatti sui campi di Marte e spianano armi, guerrieri incoerenti,
              poiché ancor virgulti dagli occhi sognanti,
              ch'intravedon se stessi negli occhi smarriti di altri.
              E piangon, le madri, i resti dei militi ignoti,
              tra i tanti sfregiati nel corpo marchiato da guerre insensate e inconcluse,
              nel lungimirare saccente di pochi.
              Rimane soltanto lo spreco del sangue a marchiare l'impronta vitale sul suolo,
              nel ventre d'un mondo deluso.
              Quel sangue versato richiama vendetta, contando sui replay di lotta perpetua.
              Bistrattata, la Storia, insigne maestra imparziale,
              rinnegata la guerra, or lacrima sale e dolore,
              sotto un cielo velato d'indubbia impotenza,
              inadatto al disgrego di scelte inumane, analoghe gesta, sentimenti ricolmi d'infamia.
              Confuso, il cinereo sguardo svilito, ombrato dal crescente sentore di vivida rabbia,
              ricerca motivi pel senso d'una sì atroce svolta
              dell'umana specie, ch'ha nulla d'umano al momento.
              Ben cosciente che niente giustifichi il niente, indi getta la spugna,
              nell'assurdo, inconsulto freno di sé sì avvilente,
              incosciente d'un ritorno al pensiero assennato della razza terrestre.
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                Scritta da: Iris Vignola

                Ei giunse

                Ei giunse,
                pel concetto d'esistenza veritiera,
                da un tempo non più suo,
                in quel luogo che n'è privo;
                laddove il sole, inibendo la sua luce,
                non s'insinua
                e tradisce il marmoreo volto della luna,
                che s'oscura,
                incapace di tralucer il suo pallido chiarore translucente,
                nel turchese dello sguardo trasparente,
                sotto il velo trascendente;
                di colui che era, un dì;
                dove stelle ipotizzate dai mortali
                non s'inoltran a gemmar splendente manto
                del mirabil firmamento immateriale,
                concepito dal brillio incommensurabile,
                che si nutre sol da luce inesauribile
                emanata dal Creatore d'universo.
                Il rumor, ammutolito,
                giace immerso nell'ovatta del silenzio,
                che, imperando, l'interezza sa annientare:
                non più suoni, non più voci, neppur echi roboanti,
                nulla sibila dall'ugole impotenti;
                tal sussurro nasce e muore,
                sulle labbra inconsistenti,
                destinato a che niuno possa udirlo.
                Sol lo sbigottito sguardo,
                pur avendo partorito esasperati quesiti inascoltati,
                nel contempo in cui ha fesso l'esordio tenebroso,
                scortante al preludio esistenziale d'altro tipo,
                non s'è arreso;
                plausibilmente, s'è rasserenato,
                nell'istante dell'inatteso squarcio innaturale,
                allorquando, dissolvendo il buio,
                esso l'ha attratto nell'immane varco accecante,
                in cui, quell'Angelo giungente, Messaggero alato,
                sfiorandolo con l'imponenti ali immacolate,
                accolto ha il suo infinito spirito confuso.
                Presumendo la sorpresa sul suo viso,
                poscia un'espressione fattasi fidente,
                anelando il suo sorriso scaturito,
                rammento
                che mai fu cotanto radioso espressamente,
                tutt'altro...
                Fors'anch'egli ne avrà testè ricordo,
                insito nello spazio senza tempo,
                immaginario,
                nel principio del risveglio
                posteriore a dipartita,
                in rinascita desiata e benedetta.
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                  Scritta da: Iris Vignola

                  Pensiero filosofico

                  Celati son a noi misteri esistenziali,
                  origini dell'innate paure insormontabili,
                  inconsulte reazioni, smarrimenti e aberrazioni.
                  L'oscurità riconduce alla fonte dei disagi,
                  la solitudine s'occulta nei silenzi prolungati
                  e ci asseconda mestamente,
                  inequivocabilmente, fedelissima amante.

                  Ci arrampichiam su specchi,
                  onde palesarci degni ad altrui occhi,
                  bensì nella matrice siam confusi,
                  perennemente in cerca di noi stessi,
                  dell'io che s'ostina a non svelarsi,
                  a non aprirci gli occhi foderati
                  alfin di dissipar dubbi circuenti le menti.

                  Stolti, peregriniam alla rinfusa,
                  alla ricerca di qualcosa lungi dalla coscienza;
                  ci aggrappiam alle radici,
                  onde evitar d'esser estirpati e perder sì memoria d'esser nati.
                  In ragione della moderazione, abdichiamo gl'istinti naturali,
                  tuttavia viviam nella gravosa incognita
                  d'ignorar realtà, attinente al pensiero filosofico,
                  sul chi siamo, donde veniamo e dove andiamo.

                  E maggiormente... per qual motivo esistiamo?
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                    Scritta da: Iris Vignola

                    Perpetui passi

                    Quant'acqua è corsa sotto i ponti,
                    quanta pioggia s'è versata sopra i passi di bambina,
                    inabissate impronte infaticabili
                    divenute vane nel pensiero dei ricordi,
                    ch'han scordato di stiparle nelle stanze di memoria.

                    Mi chiedo quanti n'abbia vergati senza senso,
                    su declivi in salita e in discesa,
                    esulando dal conoscere l'approdo,
                    forse circoscritto allo stesso luogo,
                    forse lungo i margini del mondo.

                    Perpetui passi tra le grinze d'un percorso rampicante,
                    quando i minuti desideri
                    s'accontentavano di molto poco,
                    d'un gioco, d'un giocattolo ogni tanto, d'un bacio,
                    proporzionati alla tenera età e alla sua speme.

                    Le crespe solcate dai miei passi divenuti grandi
                    si son mutate in differenziati anfratti,
                    dove s'alternava la luce con il buio
                    e rose su steli inoffensivi,
                    su cui all'improvviso spuntavano le spine, a fare male.

                    Impronte inasprite su pieghe sconnesse,
                    sprofondan nel fango, talvolta
                    e altrettante san sfiorar il suolo,
                    tentando d'alzarsi a un metro dal cielo,
                    per carpir l'effluvio dell'apogeo d'arcobaleno.

                    Dove viaggia il desio d'una bambina
                    nel pensier d'una coscienza fattasi adulta.
                    Alter ego, riflesso nell'attuale specchio.
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