Scritta da: Andrea De Candia
Ora dispiega la sua immensità
corre come su praterie lo sguardo
e trova la ragione delle ali,
cavalca i dorsi di cavalli bianchi,
spume dirette a una fine irraggiunta,
come onde che ritendono alla morte
sulla riva di un'assente aldilà.
E nella sua pupilla bicolore
che cambia il tempo, appare la visione
in basso del suo essere formica,
la testa è tutto il dorso del suo corpo
e trascina una briciola di vita
alla tana di una morte comune.
Mi sono alzato e deve ricadere
quella luce di orgoglio sul mio sguardo
come zampillo di fontana torna
alla sua bassa origine, finendo.
E indietro e dentro torna alle sue tenebre,
il nero è bara di un defunto sogno,
le palpebre si chinano a ricevere
il re, di cui soltanto la corona
è una parte visibile del corpo.
È cuore e volto, è sangue che fiotta,
che ha infranto le barriere della pelle
prima del primo istante che ricordi,
è corona di spine sul suo capo,
è l'urlo materiale del silenzio,
è lo spezzare il pane da cui esce
la notte, il tondo scheletro dell'ostia,
è l'arrivare su un sepolcro d'acqua
deposto dalle sue stesse ferite...

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