Le migliori poesie di Edgar Allan Poe

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Scritta da: Silvana Stremiz

Il corvo

Era una cupa mezzanotte e mentre stanco meditavo

Su bizzarri volumi di un sapere remoto,

Mentre, il capo reclino, mi ero quasi assopito,

D'improvviso udii bussare leggermente alla porta.

"C'è qualcuno" mi dissi " che bussa alla mia porta

Solo questo e nulla più. "

Ah, ricordo chiaramente quel dicembre desolato,

Dalle braci morenti scorgevo i fantasmi al suolo.

Bramavo il giorno e invano domandavo ai miei libri

Un sollievo al dolore per la perduta Lenore,

La rara radiosa fanciulla che gli angeli chiamano Lenore

E che nessuno, qui, chiamerà mai più.

E al serico, triste, incerto fruscio delle purpuree tende

Rabbrividivo, colmo di assurdi tenori inauditi,

Ebbene ripetessi, per acquietare i battiti del cuore:

"È qualcuno alla porta, che chiede di entrare,

Qualcuno attardato, che mi chiede di entrare.

Ecco: è questo e nulla più"

Poi mi feci coraggio e senza più esitare

"Signore, " dissi "o Signora, vi prego, perdonatemi,

Ma ero un po' assopito ed il vostro lieve tocco,

Il vostro così debole bussare mi ha fatto dubitare

Di avervi veramente udito". Qui spalancai la porta:

C'erano solo tenebre e nulla più. "

Nelle tenebre a lungo, gli occhi fissi in profondo,

Stupefatto, impaurito sognai sogni che mai

Si era osato sognare: ma nessuno violò

Quel silenzio e soltanto una voce, la mia,

Bisbigliò la parola "Lenore" e un eco rispose:

"Lenore". Solo quello e nulla più.

Rientrai nella mia stanza, l'anima che bruciava.

Ma ben presto, di nuovo, si udì battere fuori,

E più forte di prima. "Certo" dissi "è qualcosa

Proprio alla mia finestra: esplorerò il mistero,

Renderò pace al cuore, esplorerò il mistero.

Ma è solo il vento, nulla più. "

Allora spalancai le imposte e sbattendo le ali

Entrò un Corvo maestoso dei santi tempi antichi

Che non fece un inchino, né si fermò un istante.

E con aria di dame o di gran gentiluomo

Si appollaiò su un busto di Palladie sulla porta

Si posò, si sedette, e nulla più.

Poi quell'uccello d'ebano, col suo austero decoro,

Indusse ad un sorriso le mie fantasie meste,

"Perché" dissi "rasata sia la tua cresta, un vile

Non sei, orrido, antico Corvo venuto da notturne rive.

Qual è il tuo nome nobile sulle plutonie rive? "

Disse il Corvo: "Mai più".

Ma quel corvo posato solitario sul placido busto,

Come se tutta l'anima versasse in quelle parole,

Altro non disse, immobile, senza agitare piuma,

Finché non mormorai: "Altri amici di già sono volati via:

Lui se ne andrà domani, volando con le mie speranze"

Allora disse il Corvo: "Mai più".

Trasalii al silenzio interrotto da un dire tanto esatto,

"Parole" mi dissi "che sono la sua scorta sottratta

A un padrone braccato dal Disastro, perseguitato

Finché un solo ritornello non ebbe i suoi canti,

Un ritornello cupo, i canti funebri della sua speranza:

Mai, mai più".

Rasserenando ancora il Corvo le mie fantasie,

Sospinsi verso di lui, verso quel busto e la porta,

Una poltrona dove affondai tra fantasie diverse,

Pensando cosa mai l'infausto uccello del tempo antico.

Cosa mai quel sinistro, infausto e torvo anomale antico

Potesse voler dire gracchiando "Mai più".

Sedevo in congetture senza dire parola

All'uccello i cui occhi di fuoco mi ardevano in cuore;

Cercavo di capire, chino il capo sul velluto

Dei cuscini dove assidua la lampada occhieggiava,

Sul viola del velluto dove la lampada luceva

E che purtroppo Lei non premerà mai più.

Parve più densa l'aria, profumata da un occulto

Turibolo, oscillato da leggeri serafini

Tintinnanti sul tappeto. "Infelice" esclamai "Dio ti manda

Un nepente dagli angeli a lenire il ricordo di Lei,

Dunque bevilo e dimentica la perduta tua Lenore! "

Disse il Corvo "Mai più".

"Profeta, figlio del male e tuttavia profeta, se uccello

Tu sei o demonio, se il maligno" io dissi "ti manda

O la tempesta, desolato ma indomito su una deserta landa

Incantata, in questa casa inseguita dall'Onore,

Io ti imploro, c'è un balsamo, dimmi, un balsamo in Galaad? "

Disse il Corvo: "Mai più".

"Profeta, figlio del male e tuttavia profeta, se uccello

Tu sei o demonio, per il Cielo che si china su noi,

Per il Dio che entrambi adoriamo, dì a quest'anima afflitta

Se nell'Eden lontano riavrà quella santa fanciulla,

La rara raggiante fanciulla che gli angeli chiamano Lenore".

Disse il Corvo: "Mai più".

"Siano queste parole d'addio" alzandomi gridai

"uccello o creatura del male, ritorna alla tempesta,

Alle plutonie rive e non lasciare una sola piuma in segno

Della tua menzogna. Intatta lascia la mia solitudine,

Togli il becco dal mio cuore e la tua figura dalla porta"

Disse il Corvo: "Mai più".

E quel Corvo senza un volo siede ancora, siede ancora

Sul pallido busto di Pallade sulla mia porta.

E sembrano i suoi occhi quelli di un diavolo sognante

E la luce della lampada getta a terra la sua ombra.

E l'anima mia dall'ombra che galleggia sul pavimento

Non si solleverà "Mai più" mai più.
Edgar Allan Poe
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    Scritta da: R. Parisi

    I miei incantesimi sono infranti

    I miei incantesimi sono infranti.
    La penna mi cade, impotente, dalla mano tremante.
    Se il mio libro è il tuo caro nome, per quanto mi preghi,
    non posso più scrivere. Non posso pensare, né parlare,
    ahimè non posso sentire più nulla,
    poiché non è nemmeno un'emozione,
    questo immobile arrestarsi sulla dorata
    soglia del cancello spalancato dei sogni,
    fissando in estasi lo splendido scorcio,
    e fremendo nel vedere, a destra
    e a sinistra, e per tutto il viale,
    fra purpurei vapori, lontano
    dove termina il panorama nient'altro che Te.
    Edgar Allan Poe
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Elena (1848)

      Ti vidi una volta, una sola volta –anni fa:
      non voglio dir quanti – non molti, tuttavia.
      Era notte, di Luglio; e dalla grande luna piena
      che, come la tua anima, ricercava, elevandosi,
      un suo erto sentiero per l'arco del cielo,
      piovve un serico argenteo velo di luce,
      con sé recando requie, grave afa e sopore,
      sui sollevati visi d'almeno mille rose
      che s'affollavano in un incantato giardino,
      che nessun vento – se non in punta di piedi – osava agitare.
      E cadde su quei visi di rose levati al cielo,
      che in cambio restituirono, per l'amorosa luce,
      le loro anime stesse odorose, in estatica morte.
      Cadde su quei visi di rose levati al cielo,
      che sorridendo morirono, in quel chiuso giardino,
      da te incantati, da quella poesia che tu eri.
      In bianca veste, sopra una sponda di viole,
      ti vidi reclina, mentre che quella luce lunare
      cadeva sui visi sollevati delle rose,
      e sul tuo, sul tuo viso –ahimé, dolente!
      Non fu il Destino che, in quella notte di Luglio,
      non fu forse il Destino ( e Dolore è l'altro suo nome)
      che m'arrestò, davanti a quel giardino,
      a respirar l'incenso di quelle rose addormentate?
      Non un passo nel silenzio: dormiva l'odiato mondo,
      tranne io e te. M'arrestai, guardai
      e ogni cosa in un attimo disparve
      (Oh, ricorda ch'era un magico giardino! )
      Si spense il perlaceo lume della luna:
      non più vidi sponde muscose, tortuosi sentieri,
      i lieti fiori e gli alberi gementi;
      e moriva quel profumo stesso delle rose
      tra le braccia dell'aria innamorata.
      Tutto svaniva fuor che tu sola – una parte anzi di te:
      fuor che quella divina luce nei tuoi occhi-
      fuor che la tua anima nei tuoi occhi alzati al cielo.
      Quelli io vedevo e non altro – l'intero mondo per me.
      Quelli io vedevo e non altro – e così per molte ore-
      quelli solo io vedevo – finché la luna non tramontò.
      Quali selvagge storie del cuore erano inscritte
      in quelle celestiali sfere di cristallo!
      Quale fosco dolore! E sublime speranza!
      Quale tacito e pacato mare d'orgoglio!
      Quale audace ambizione! E che profonda-
      insondabile capacità d'amore!
      Ma disparve infine Diana alla mia vista,
      velata in un giaciglio di scure nuvole a ponente;
      e tu – uno spettro – tra i sepolcrali alberi
      ti dileguasti. Solo i tuoi occhi rimasero.
      Essi non vollero andar via – mai più disparvero.
      Quella notte illuminando il mio solingo cammino,
      non più mi lasciarono (come invece, ahimé,
      le speranze! ). Ovunque mi seguono, mi guidano
      negli anni. Sono i miei ministri – ma io il loro schiavo.
      Loro compito è d'illuminarmi, d'infiammarmi,
      e mio dovere è d'esser salvato da quella luce,
      in quel loro elettrico fuoco purificato,
      in quel loro elisio fuoco santificato.
      Mi colmano l'anima di beltà, di speranza –
      su nel cielo – le stelle a cui mi prostro
      nelle tristi, mute veglie delle mie notti;
      e nel meridiano splendore el giorno
      ancora io le vedo – due fulgenti e dolci
      Veneri, che il sole non può oscurare.
      Edgar Allan Poe
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Il lago

        Nel fior di giovinezza, ebbi in sorte
        d'abitar del vasto mondo un luogo
        che non poteva ch'essermi caro e diletto -
        tanto m'era dolce d'un ermo lago
        la selvaggia bellezza, cinto di nere rocce,
        con alti pini torreggianti intorno.

        Ma poi che Notte, come su tutto,
        aveva lì disteso il suo manto,
        e il mistico vento e melodioso
        passava sussurrando - oh, allora,
        con un sussulto io mi destavo
        al terrore di quel solitario lago.

        Pure, non mi dava spavento quel terrore,
        ma anzi un tiepido diletto -
        un diletto che nè miniere di gemme
        nè lusinghe o donativi mai potrebbero
        indurmi a definir qual era -
        e neanche Amore - fosse anche l'Amor tuo.

        Morte abitava in quelle acque attossicate,
        e una tomba nel profondo gorgo
        era disposta per chi sapesse ricavarne
        un sollievo al suo immaginare:
        il solingo spirito sapesse fare
        un Eden di quell'oscuro lago.
        Edgar Allan Poe
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Sonetto alla scienza

          Scienza, vera figlia ti mostri del Tempo annoso,
          tu che ogni cosa trasmuti col penetrante occhio!
          Ma dimmi, perché al poeta così dilani il cuore,
          avvoltoio dalle ali grevi e opache?
          Come potrebbe egli amarti? E giudicarti savia,
          se mai volesti che libero n'andasse errando
          a cercar tesori per i cieli gemmati?
          Pure, si librava con intrepide ali.
          Non hai tu sbalzato Diana dal suo carro?
          E scacciato l'Amadriade dal bosco,
          che in più felice stella trovò riparo?
          Non hai tu strappato la Naiade ai suoi flutti,
          l'Elfo ai verdi prati e me stesso infine
          al mio sogno estivo all'ombra del tamarindo?
          Edgar Allan Poe
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            A una in Paradiso

            Eri per me quel tutto, amore,
            per cui si struggeva la mia anima -
            una verde isola nel mare, amore,
            una fonte limpida, un'ara
            di magici frutti e fiori adornata:
            e tutti erano miei quei fiori.

            Ah, sogno splendido e breve!
            Stellata speranza, appena apparsa
            e subito sopraffatta!
            Una voce del Futuro mi grida
            "Avanti, avanti! " - ma è sul Passato
            (oscuro gugite! ) che la mia anima aleggia
            tacita, immobile, sgomenta!
            Perché mai più, oh, mai più per me
            risplenderà quella luce di Vita!
            Mai più - mai più - mai più -
            (è quel che il mare ripete
            alle sabbie del lido) - mai più
            rifiorirà un albero percosso dal fulmine,
            nè potrà più elevarsi un'aquila ferita.

            Vivo, trasognato, giorni estatici,
            e tutte le mie notturne visioni
            mi riportano ai tuoi grigi occhi di luce,
            a là dove tu stessa ti porti e risplendi,
            oh, in quali eteree danze,
            lungo rivi che scorrono perenni.
            Edgar Allan Poe
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              Or son molti e molti anni
              che in un regno in riva al mare
              viveva una fanciulla che col nome
              chiamerete di Annabel Lee:
              e viveva questa fanciulla con non altro pensiero
              che d'amarmi e d'essere amata da me.
              Io ero un bimbo e lei una bimba,
              in questo regno in riva al mare;
              ma ci amavamo d'un amore ch'era più che amore-
              io e la mia Annabel Lee –
              d'un amore che gli alati serafini in cielo
              invidiavano a lei ed a me.
              E fu per questo che –oh, molto tempo fa-
              in questo regno in riva al mare
              un vento soffiò da una nube, raggelando
              la mia bella Annabel Lee;
              così che vennero i suoi nobili parenti
              e la portarono da me lontano
              per rinchiuderla in un sepolcro
              in questo regno in riva al mare.
              Gli angeli, non così felici in cielo come noi,
              a lei e a me portarono invidia –
              oh sì! E fu per questo ( e tutti ben lo sanno
              in questo regno in riva al mare)
              che quel vento irruppe una notte dalla nube
              raggelando e uccidendo la mia bella Annabel Lee.
              Ma molto era più forte il nostro amore
              che l'amor d'altri di noi più grandi-
              che l'amor d'altri di noi più savi-
              e né gli angeli lassù nel cielo
              né i demoni dentro il profondo mare
              mai potran separare la mia anima dall'anima
              della bella Annabel Lee: -
              giacché mai raggia la luna che non mi porti sogni
              della bella Annabel Lee;
              e mai stella si leva ch'io non senta i fulgenti occhi
              della bella Annabel Lee: -
              e così, nelle notti, al fianco io giaccio
              del mio amore – mio amore – mia vita e mia sposa,
              nel suo sepolcro lì in riva al mare,
              nella sua tomba in riva al risonante mare.
              Edgar Allan Poe
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Al fiume

                Bel fiume! Nel tuo limpido flutto
                di lucido cristallo, acqua errabonda,
                tu sei emblema d'una fulgente
                beltà - cuore non disvelato -
                piacevole intrico dell'arte
                nella figlia del vecchio Alberto;

                ma quando la tua onda ella contempla -
                che scintilla allora e tremola,
                oh, allora il più leggiadro rivo
                si fa simile a colui che l'adora:
                ché nel cuore di lui, come nel tuo scorrere,
                l'immagine di colei è radicata:
                in quel cuore che tremola al raggio
                di occhi che cercano l'anima.
                Edgar Allan Poe
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                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  A Elena (1835)

                  Elena, la tua bellezza è per me
                  come quei navigli nicei d'un tempo
                  che, mollemente, sull'odorato mare
                  riportavano il pellegrino stanco d'errare
                  alla sua sponda natia.

                  Da tempo avezzo a disperati mari,
                  la tua chioma di giacinto, il tuo classico volto,
                  la tua grazia di Naiade riportano me anche in patria,
                  a quella gloria che fu la Grecia,
                  a quella maestà che fu Roma.

                  Là, nel rilucente vano della finestra,
                  come statua eretta io ti vedo,
                  con in mano la tua lampada d'agata!
                  Ah, Psyche, qui venuta dalle regioni
                  che son Terra Santa.
                  Edgar Allan Poe
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