Alberi soli

Celesti macchie di cielo
in una nera di rami selva
d'infiniti alberi soli
sopra un bianco e lucente
di neve tappeto d'erba
e io qui solo a meditar
su questa loro dimenticata terra
così tanto sola
ma con anche tanta pace
e qui mai nessuna guerra.

E riprendo la mia discesa
per tornare giù in città
nevrotica e frastornata
da rumori e schiamazzi
della sua più sciocca mondanità
ma rivedo ancora lei sempre sola
come si sentisse da me spiata
la stessa colta tra que rami
solita mia adorata luna
la stessa vista sopra quella cima
montagna di nessuno
soltanto qualche ora prima
e oggi dal sole più che mai glassata
ma differenza non c'è alcuna
sotto la sua argentea luce bianca
sempre solo vedo alberi soli
tra quelli del silenzio
o come questi del frastuono
e nel mezzo sempre vive
ogni giorno lo stesso vuoto
di un cuore solitario
nel suo fremente e silente suono
da sempre e ancora solo
solo insieme ad alberi soli
come quelli di un ceduo bosco
o come gli altri tra morse di città
che più non riconosco
vivendo l'illusione di uno specchio
perso d'immensa folla
o in boschi riflessi di società
ma io nel loro mezzo
solo e perso, son finito
il mio cuore ormai
da quel lontano tempo è solo
debole e intorpidito.

E in ogni alba del suo risveglio
per ogni suo giorno nuovo
ogni albero è solo un uomo
sempre e soltanto solo
che nasce da germoglio di radici
e cresce da sua linfa
cattura luce dentro foglie
fino a che dà frutti
dopo che si dischiude
nel suo più bel fiore
per poi sul finire
soltanto dover seccare
come un albero così un uomo
che solo e dentro muore
dopo aver perduto
il suo unico vero amore
e senza aver nessuno
a cui poterlo raccontare
come insieme ad altri amor mai colti
perché caduti frutti
macerati al sole.

Ciclo stagionale che da sempre si ripete
quando al suo finale
del più grave giro suo vitale
alberi che muoiono
sopr'altri finiti legni
lungo fiumi di lente fluitazioni
uomini che son alberi
cuori che son fiori
strappati amori di vite separate
e deforestazioni
luce era linfa tra le foglie
emozioni eran vita sulla pelle
ma tutte disperse in malevoli parole
nella rete di ostili maglie
o dentro labirinti di fragili relazioni
dove infine tutto è sapone
solo d'infinite bolle.

E resta solo vana vita di sol fatica
che erge da radici verso il sole
e in terra crolla poi nel suo tremore
quella terra ormai nemica
di uomini che son caduti
come di alberi abbattuti
dopo che son rimasti soli
per tutta la loro vita.
Davide Petrinca
Composta domenica 10 giugno 2012
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    Quelle navi

    Come la mia ombra
    è quel tempo
    di galleggianti nostre isole felici
    di mari così lontani
    orchestra di colori
    attici marini di luci e suoni
    concerto di una estate
    la prima, nostra primavera
    e poi un'altra estate come inverno
    non altro che felice suo echeggio
    tutto era perfetto, in quel viaggio
    e in quelle navi, tutto così com'era.

    E sempre come un ombra
    Lui guida i miei sentieri
    adagiata sopra il mare
    che devasta i miei pensieri
    quando forse
    un tempo tu mi amavi
    col sorriso e quello sguardo
    sopra quelle navi
    galleggianti nostre isole felici.

    Troppo presto
    giunte al loro approdo
    col rovescio di un Natale
    su quel tavolo rotondo
    e con esso poi finì
    tutto il mio mondo.
    Ma prima che io sprofondo
    ora non so
    quanto ancora, io qui resto
    oppure quanto lungo
    avanti a me sarà questo
    il tempo mio rimasto.

    E risalgo a navigare
    forse ancora per un po'
    solo e in alto mare
    con due remi
    e la sola forza delle mani
    e sempre più distante
    mi allontano da quelle navi
    galleggianti nostre isole felici
    disperdersi al mio orizzonte
    ora
    davvero sono solo
    io e il mar di fronte
    mai visto così pacato
    dolce mio compagno
    unico testimone
    a raccontarmi la favola di un passato
    di un amore che mi ha lasciato
    ricordi senza fiato.

    Unici e solo nostri
    indimenticabili momenti
    tra colori, di meravigliose estati
    quelle navi
    sfilare sotto i venti
    e poi le sere
    vedere sopra i ponti
    i suoi occhi
    brillare come fari
    noi due, cuori naviganti
    noi due, sopra quelle navi.
    Davide Petrinca
    Composta martedì 15 maggio 2012
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      Deserto

      Giunto a sconosciuto mondo
      isola da oscura terra
      è approdato, il mio sguardo perso
      e nel buio pesto, è tutto immerso
      che da lontana terra, provenuto
      qui solo, naufragando
      alcuna vita, ha trovato.

      E mi giro ancora, non mi arrendo
      a guardare sempre, verso il mare
      dove l'altra come anche, nuova terra
      più non riesco, ad osservare.

      E sopra questo, orizzonte nuovo
      solo col mio sguardo, prendo il volo
      ma presto a terra, torna rassegnato
      se la distanza immane
      la mia terra a quello
      del tutto ormai, ha cancellato.

      Davanti, infinito mare aperto
      dietro, solo arido deserto
      ed in mezzo, il mio sguardo è perso
      qui solo, naufragando
      e mi giro ancora, non mi arrendo
      a guardare sempre, verso il mare
      dove l'altra terra
      riesco ora, ad osservare.

      E di nuovo mi rigiro
      ma stavolta verso il deserto
      e incredibilmente, lui scompare
      e al suo posto
      nel mio sguardo, non più perso

      forma prende, un altro mare
      quello che incantati
      restavamo, ore ed ore
      io e te, ad osservare.

      E non ho più paura, del deserto
      se intorno ad esso
      vedo solo, mare aperto
      perché nel mio sguardo
      della mente, vedo adesso
      io e te, insieme al nostro mare
      che restavamo, ore ed ore
      in silenzio, ad osservare.
      Davide Petrinca
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        La rotta del gabbiano

        Vibra l'urlo blu atomi del cielo
        infila il mezzo resistente
        da funeste ultime apprensioni
        al tramonto di una vita operante
        solo in deserti d'acqua e sabbia ormai da sempre
        oggi si eleva sul comignolo del mondo
        la cui vetta crolla dal mattino
        attraverso il suo ignaro stormo.

        E presto nel vibrato resistente mezzo
        staglia impietoso il suo lampo
        della morte il suo angelo non gli da scampo
        a spalancar l'immanente in ali la sua sera
        ora della partenza verso quella sfera
        estiva e furente di fuoco luminescente pesca
        quand'al tramonto si colora
        che inghiotte impietosa la sua rotta
        ridotta ad anonima ombra
        nero puntino ch'in essa s'innesta
        fino a che il neo del giallo disco viso morente
        sempre più labile nel suo cielo più vitreo
        scompare per sempre.

        Ma la mia vita ancora è qui
        e sembra come or finita un era
        sull'onda di un ultimo urlo
        del gabbiano verso sera
        come ghiaccio nelle vene
        insieme si scioglie all'inanimato sasso
        della mia vita e la sua sete
        che delusa perde ogni fantasia
        perché capace soltanto di aver volato basso
        il suo amore e la sua bugia.


        E sempre quell'urlo
        squarcia la mia mente e lei rimembra la sua rotta
        quella sparita del gabbiano
        dove in essa rimbalza la mia vita tutta
        vena del suo ultimo urlo e riverbero di un amor finito
        e che oltre l'infinito il suo pensiero, or si spinge più lontano.
        Davide Petrinca
        Composta sabato 31 marzo 2012
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