Incompleta e sottile
la cornea dell'anima
- così tanto insicuro
fantasma dallo sguardo
ancora semivuoto -
diventa un po' più piena
se piove sul bagnato
del rosso acceso sangue,
la cornea fatta a chicchi
ricade sul rovente
asfalto che bollente
cerca, cerca lo sguardo,
che alla fine ritrova
la sua pupilla rossa.
Si sporca come sempre
l'anima per lavare,
già vanno gli occhi a caccia
di pupille marroni
di sporcizia dal suolo
raccolte ed assorbite
dall'acqua dello sguardo.
Che cosa sei, che cosa
saresti, Anima, se non
una gran pioggia d'aria
che cade, batte e stride
sul sangue mio d'asfalto?
Mi chiedi perché ho sangue
nelle dita dei piedi e delle mani,
il pianto non è mai bevuta lunga,
espansa, circolare,
mentre è lacrima sola soprattutto;
così l'anima piange
a volte, si vergogna per il corpo
svergognato, ma è sempre più modesta
lei, l'anima del corpo,
e cerca vene, vene capillari e
versa lacrime rosse
lungo i petali estremi della carne,
facendolo in sua vece.
Se sollevassi anche solo una volta
questo mio bel coperchio di palpebra,
solo e soltanto una volta se è tanto
vedrei quel cerchio profondo dell'occhio
quella pentola in cui bolle l'anima.
E se l'anima insomma
non dovesse tremare
e neanche toccare
del corpo le pareti,
fosse anche una su quattro
a venire sfiorata,
è anima di carne
ed è carne di pelle
ed è poi pelle d'aria
ciò che più ti circonda,
allor non c'è perdono,
ancor l'essere umano
deve essere la meta,
un grado ci separa,
poi due sono già troppi:
purtroppo Dio non sono.
Non chiedermi davvero
se ho già l'anima pura,
bianca fino a svanire.
Perché quel cuore è un ortaggio,
una carota sostenuta
da radici di vene
e da tutte le arterie,
su un terreno completamente
saturato per bene.
Quando si aprono appena
le croste reciproche
e poi si intravedono
le trentadue ferite
spargenti sangue bianco,
l'anima carcerata
- rinchiusisi i battenti -
può solo disillusa
infilare il suo dito
poco oltre l'inferriata.
Il buio bucherellato da luci.
La luce tappezzata di nuvole.
Aria, dimmelo tu,
se è più scuro il giorno
oppure la notte.
Le maglie di quei pesci
ricamate dal filo
dell'ago d'acqua bianco
riflettono non poco
il loro animo in gabbia
e pure il sentimento
continuo e permanente:
angoscia grigiazzurra.
La sabbia, la carcassa
che il mare desidera
come sua miglior preda,
sabbia di polpa - crede -
e s'avventa, l'addenta.
La sabbia si fa ferro,
denti spezzati in fila
che vedo solo adesso
che si avvicina a riva
con la sua mandibola
maciullata di sasso.
Deluso il labbro sbuffa,
adesso torna indietro,
lei pure che gli dice
"ed ora vade retro"
e pure dice al mare:
"che gran... morto di fame!"