Quella voce l'avrei riconosciuta ovunque; la riconoscevo sempre con emozione, che fossi sveglia, addormentata... persino da morta. La voce per cui ero disposta a camminare nel fuoco, oppure, senza esagerare, a sguazzara una vita intera sotto un'interminabile pioggia fredda.
"Un bel regalo riciclato", mi disse serio. Mi prese il polso sinistro e sfiorò per un attimo il braccialetto d'argento. Poi mi restituì il braccio. Lo osservai con attenzione. Dalla parte opposta della catena rispetto al lupo adesso era appeso un cristallo a forma di cuore. Aveva un milione di sfaccettature, perciò brillava in maniera impressionante persino sotto la luce smorzata della lampada. Restai senza fiato. "Apparteneva a mia madre". E si strinse nelle spalle. "Ho ereditato diversi ciondoli come questo. Ne ho regalato uno a Esme e uno ad Alice. Insomma, è chiaro che non è un granché". Sorrisi mesta a questa sua ultima affermazione. "Ma mi rappresenta bene, credo", continuò. "È freddo e duro". Rise. "E, se esposto alla luce, irradia arcobaleni". "Dimentichi la similitudine più importante", sussurrai. "È bellissimo". "E il mio cuore è muto come lui", disse fra sé. "Anche quello ti appartiene".
Non ti uccido adesso, perché turberei Bella. Ma se la riporti di nuovo a casa ferita - e non mi importa di chi è la colpa: fa lo stesso se inciampa o se un meteorite cade dal cielo e la colpisce in pieno - se me la riporti in uno stato di salute che non è quello in cui era quando te l'ho lasciata, ti spezzo le gambe. Lo capisci, randagio che non sei altro? ... e se ti azzardi un'altra volta a baciarla, ti spezzo la mascella al posto suo.
Era stato molto peggio che perdere l'amore più vero, cosa che da sola era sufficiente ad uccidere. Avevo perso un futuro, una famiglia, la vita che avevo scelto.
"Quante volte" chiesi disinvolta. "Come?" Sembrava l'avessi distolto da chissà quale catena di pensieri. Non mi voltai. "Quante volte sei venuto qui?". "Vengo a trovarti quasi tutte le notti". Mi voltai di scatto, stupita: "Perché?" "Sei interessante quando dormi". Lo diceva come se niente fosse. "Parli nel sonno". "No!" Sbottai, rossa di vergogna fino ai capelli. Era dispiaciuto, glielo leggevo negli occhi. "Sei tanto arrabbiata con me?" "Dipende!" Mi sentii come se qualcuno mi avesse rubato l'aria. Aspettò che chiarissi. "Da..." mi sollecitò dopo un po'. "Da quel che hai sentito!" Strillai. All'istante, in silenzio si materializzò al mio fianco e mi prese le mani con delicatezza. "Non essere così sconvolta" Si chinò su di me e da pochi centimetri di distanza mi fissò negli occhi. Ero imbarazzata, e cercai di distogliere lo sguardo. "Ti manca tua madre" sussurrò. "E che altro?" Sapeva dove volevo arrivare. "Hai pronunciato il mio nome" ammise. Sospirai, rassegnata: "Tante volte?" "Quante sarebbero precisamente - tante-?" "Oh, no!" Chinai la testa. "Non prendertela con te stessa" mi sussurrò in un orecchio. "Se fossi capace di sognare, sognerei te. E non me ne vergogno".
"Se ci sei tu, non ho bisogno del paradiso". Si alzò lentamente e si avvicinò per prendermi il viso tra le mani, mentre mi guardava negli occhi. "Per sempre", giurò, ancora scosso. "Non chiedo altro", dissi e in punta di piedi avvicinai le labbra alle sue.
Il suo respiro mi riempì le narici, e mi ricordai che non potevo essere degno di lei. Dopo tutto questo, anche con tutto l'amore che provavo per lei... mi faceva ancora venire l'acquolina in bocca.