Scritto da: Valentina Bellucci

Il sorriso di un sogno


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...zaino, ripresi la scalata verso la cima. Per tutta la mattina ogni pietra, sasso, ammasso di neve o ghiaccio, mi riportavano alla memoria che quell'esperienza l'avevo già vissuta in una maniera o in un'altra. Erano avvisaglie? Chissà.
Sorrisi tra me scuotendo la testa e nel tardo pomeriggio, con un ultimo sforzo, fui sulla vetta.
Inspirai la brezza, il freddo non mi scuoteva più, il vento non poteva nulla di fronte all'infinito. Ce l'avevo fatta e nessuna meraviglia era paragonabile alla moltitudine di sensazioni che provavo. Intravidi il sole al tramonto, i suoi raggi che perforavano le stalattiti creando forme armoniose sulla neve ora candida ora rossastra.
All'improvviso ebbi su sussulto così violento che per poco credetti di perdere i sensi: per la prima volta, dall'inizio della scalata, non ebbi sensazione di "vissuto" e tutto era meravigliosamente nuovo ai miei occhi.
Sorrisi e aggrottai le sopracciglia, quando notai un grande masso verticale parzialmente ricoperto di ghiaccio.
Mi avvicinai e scostai con la mano la neve.
1959 - 1986.
Due date scolpite nella dura pietra sulla vetta dell'Everest.
Cosa potevano mai significare?
Con entrambe le mani tolsi furiosamente tutta la neve che restava e tremando lessi quest'incisione:

"Con il sogno mai realizzato di raggiungere la vetta, qui giace Rayan Kirst, il nostro amato Ray.
L'Everest non dimenticherà mai il tuo sorriso e il tuo amore per lui".
Composto giovedì 19 maggio 2011

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