È perfettamente cosciente che dei suoi versi non si occuperà nessun italianista, che il suo nome non comparirà in alcuna storia della letteratura. Non saprà mai con esattezza stabilire quale istinto o quale filo lo conduca alla scrivania o al monitor. Disdegna ogni arcaismo, spesso cade nel canzonettistico. Di tanto in tanto ringrazia il creato per questa terapia della parola, priva di costi e tariffario. Spesso se ne sta in disparte, schivo e riservato in attesa di qualche epifania per un nuovo canzoniere. Il meglio di sé lo dà quando è depresso e si masturba mentalmente sui ricordi. In alcuni critici suscita sarcasmo, odio ed indignazione; in altri ilarità, compassione e rassegnazione. Ma si dimenticano che le sue parole sono esternazioni o pura espressione di una sensazione. Alcuni snob vorrebbero metterlo alla gogna; altri ancora per non farlo più scrivere vorrebbero tagliarli piedi e mani o quantomeno lesionargli l'area di broca. Si dimenticano che senza i suoi versi non ci sarebbe alcun termine di paragone: nessun grande poeta vive di oscurità propria, ma ha bisogno dei chiaroscuri dei poeti minori, delle tenebre del poetastro.
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