Lago o argento, in me cercano identità consolazione e angoscia. Sono eterno e dannato: ritraggo verità, ma racconto menzogne. Alterno luce e buio tra compiaciuti sorrisi adolescenti, e guido mani ignote, urlanti e incredule sui visi della vecchiaia. Disegno spazi falsi, inesistenti. Brucio perfido le navi d'ogni illusione, da cui già vidi cadere Icaro. Sono giudice venerato e sadico: acceco chi mi brama e annego tutti i miei amanti dall'apparente calma di un riflesso. A volte cado, infranto da una strega isterica. Io mi odio, io mi odio. Stupro di donna o sorriso d'infante ritraggo spietato in crudele indifferenza. I miei frantumi stillano orchidee insanguinate. Forzato da un demone divoro vergini che, domato il bianco unicorno, sfidano ingorde l'Ade per il crine di Pegaso, mostruosa chimera.
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