Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)
Coronati di gel gli elvezj monti;
Or che del vero illuminar l'aspetto
Non è delitto, or io te, diva, invoco:
Scendi, e la lingua e il petto
Mi snoda e 'infiamma di tuo santo foco.
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Coronati di gel gli elvezj monti;
Or che del vero illuminar l'aspetto
Non è delitto, or io te, diva, invoco:
Scendi, e la lingua e il petto
Mi snoda e 'infiamma di tuo santo foco.
Ombre dè Bruti, ai secoli mostrando
Alteramente il brando
Del padre tinto e dei figliuol nel sangue;
Te, o Libertà, se per le gelid'onde
Del Danubio e del Reno
Gisti fra genti indomite guerriere;
Te se raccolse nel sanguineo seno
Brittannia, e t'ascondea mortifer angue;
Te se al furor di mercenarie spade
De l'Oceàno da le ignote sponde
T'invitàr meste, e del tuo nome altero
Le americane libere contrade;
O le batave fonti,
O ti furo ricetto.
Dove tu, diva, da l'antica e forte
Dominatrice libera del mondo
Felice a l'ombra di tue sacre penne,
Dove fuggivi, quando ferreo pondo
Di dittatoria tirannia le tenne
Umìl la testa fra servaggio e morte?
Te seguìr le risorte
O di mille tiranni, a cui rapina
Riga il soglio di sangue, imbelle terra!
'Ve mentre civil fama ulula ed erra,
Siede negra Politica reina;
Dimmi: che mai ti val se a te vicina
Compra e vil pace dorme, e se ignea guerra
A te non mai le molli trecce afferra
Onde crollarti in nobile ruina?
Già striscia il popol tuo scarno e fremente,
E strappa bestemmiando ad altri i panni,
Mentre gli strappa i suoi man più potente.
Ma verrà il giorno, e gallico lo affretta
Sublime esempio, ch'ei de' suoi tiranni
Farà col loro scettro alta vendetta.
E questa è l'ora! mormorar io sento
Co' miei sospiri in suon pietoso e basso
Tra fronda e fronda il solitario vento.
E scorgo il caro nome; e veggo il sasso
Ove Laura s'assise, e scorro i prati
Ch'ella meco trascorse a passo a passo.
Quest'è la pianta che le diè i beati
Fior ch'ella colse, e con le molli dita
Vaga si fe, ghirlanda ai crini aurati.
E questo è il conscio speco, e la romita
Sponda cui mesto lambe un fonte e plora,
E i ben perduti a piangere m'invita
Qui de’ più gai colori ornossi Flora,
Qui danzaro le Grazie, e qui ridente
A mirar la mia donna uscì l'Aurora. 15
E qui la Luna cheta e risplendente
Guatocci, e rise; e irradïò quel ramo
Ove ha nido usignol dolce-gemente;
E scosso l'augellin, mentre ch'io: " T'Amo "
A Laura replicava, uscir s'udia
Ne' suoi dolci gorgheggi: " Io t'amo io t'amo ".
O sacra rimembranza, o della mia
Prima felicità tenera immago,
Cui Laura forse a consolarmi invia;
Vieni: tu vedi solitario e vago
Il giovin vate, che piangendo porta
Ahi! d'affanni più gravi il cor presago.
Già s'avanza la Sera, e la ritorta
Conca tien alla destra, e di rugiade
Le languid'erbe, e i fiori arsi conforta.
E il Sol che all'Oeeàn fiammeo ricade,
Vario-tinge le nubi, e lascia il mondo
All'atra Notte che muta lo invade.
E tutto è mesto: e dal cimmerio fondo
S'alzan con l'Ore negre e taciturne
Oscuritate e Silenzio profondo.
Era l'istante che su squallide urne
Scapigliata la misera Eloisa
Invocava le afflitte ombre notturne;
E su1 libro del duolo u' stava incisa
ETERNITADE E MORTE, a lamentarsi
Veniasi Young sul corpo di Narcisa:
Ch'io smarrito in sembiante, e aperti ed arsi
I labbri, e incerto i detti, e gli occhi in pianto,
Coi crin sul fronte impallidito sparsi,
Addio diceva a Laura, e Laura intanto
Fise in me avea le luci, ed agli addio
Ed ai singulti rispondea col pianto
E mi stringea la man: - tutto fuggìo
Della notte l'orrore, e radïante
Io vidi in cielo a contemplarci Iddio,
E petto unito a petto palpitante,
E sospiro a sospir, e riso a riso,
La bocca le baciai tutto tremante.
E quanto io vidi allor sembrommi un riso
Dell'universo, e le candide porte
Disserrarsi vid'io del Paradiso....
Deh! a che non venne, e l'invocai, la morte?
Scritto e pubblicato nel 1797.
Alfin tu splendi, o Sole, o del creato
Anima e vita, immagine sublime
Di Dio, che sparse la tua faccia immensa
Di sua luce infinita! Ore e Stagioni,
Tinte a vari color danzano belle
Per l'aureo lume tuo misuratore
De' secoli, e de' secoli scorrenti,
Alfin tu splendi! tempestoso e freddo
Copria nembo la terra; a gran volute
Gravide nubi accavallate il cielo
Empian di negre liete, e brontolando
Per l'ampiezza dell'aere tremendi
Rotolavano i tuoni, e lampi lampi
Rompeano il bujo orribile. - Tacea
Spaventata natura; il ruscelletto
Timido e lamentevole fra l'erbe
Volgeva il corso, nè stormian le frondi
Per la foresta, nè dall'atre tane
Sporgean le belve l'atterrita fronte. -
Ulularono i venti, e ruinando
Fra grandini, fra folgori, fra piove
La bufera lanciosse, e riottoso
Diffuse il fiume le gonfie e spumose
Onde per le campagne, e svelti i tronchi
Striderono volando, e da’ scommossi
Ciglion dell'ondeggianti audaci rupi
Piombàr torrenti, che spiccati massi
Coll'acque strascinarono. Dal fondo
D'una caverna i fremiti e la guerra
Degli elementi udii; Morte su l'antro
Mi s'affacciò gigante; ed io la vidi
Ritta: crollò la testa e di natura
L'esterminio additommi. - In ciel spiegasti,
O Sol, tua fronte, e la procella orrenda
Ti vide e si nascose, e i paurosi
Irti fantasmi sparvero.... ma quanti
Segni di lutto su i vedovi campi,
Oimè, il nembo lasciò! Spogli di frutta,
Aridi, e mesti sono i pria sì vaghi
Alberi gravi, e le acerbette e colme
Promettitrici di liquor giocondo
Uve giacciono al suol; passa 1'armento
E le calpesta; e istupidito e muto
L'agricoltore le contempla e geme.
Intanto scompigliata, irta e piangente
Te, o Sol, ripriega la Natura, e il tuo
Di pianto asciugator raggio saluta;
E tu la accendi, e si rallegra e nuovi
Prometto frutti e fior. Tutto si cangia,
Tutto père quaggiù! Ma tu giammai,
Eterna lampa, non ti cangi? mai?
Pur verrà dì che nell'antiquo vòto
Cadrai del nulla, allor che Dio suo sguardo
Ritirerà da te: non più le nubi
Corteggeranno a sera, i tuoi cadenti
Raggi su l'Oceàno; e non più l'Alba
Cinta di un raggio tuo, verrà su l'Orto
Ad annunziar che sorgi. Intanto godi
Di tua carriera: oimè! ch'io sol non godo
De' miei giovani giorni: io sol rimiro
Gloria e piacere, ma lugubri e muti
Sono per me, che dolorosa ho l'alma.
Sul mattin della vita io non mirai
Pur anco il Sole; e omai son giunto a sera
Affaticato; e sol la notte aspetto
Che mi copra di tenebre e di morte
Quando la terra è d'ombre ricoverta,
E soffia 'l vento, e in su le arene estreme
L'onda va e vien che mormorando geme,
E appar la luna tra le nubi incerta;
Torno dove la spiaggia è più deserta
Solingo a ragionar con la mia speme,
E del mio cor che sanguinando geme
Ad or ad or palpo la piaga aperta.
Lasso! me stesso in me più non discerno,
E languono i miei dì come viola
Nascente ch'abbia tempestata il verno;
Chè va lungi da me colei che sola
Far potea sul mio labbro il riso eterno:
Luce degli occhi miei, chi mi t'invola
ELEGIA
Qui sorge un'urna, e qui in funereo manto
Erran le Grazie, e qui echeggiar s'ascolta
Flebili versi, fioche voci, e pianto.
E di cipressi sotto oscura volta
Cupa Malinconia muta s'aggira
Coi crin su gli occhi, e nel suo duol raccolta.
Qui gemebondo a lagrimar si mira
Vate canuto su la sorda pietra,
E ora ammuta, ora geme, ed or sospira:
Giace da un lato al suol mesta la cetra,
Che con le dolci fila tremolando
Manda intorno armonia confusa e tetra;
E i primi affanni suoi più rammentando
Al tetro suon Filomela risponde
Suoi lai soavemente modulando.
Al duol che il Vate misero diffonde
Tutto sospira, tutto s'accompagna
Tutto a piangere seco si confonde.
Trista è così de' morti la campagna
Allor che Young fra l'ombre de la notte
Sul fato di Narcisa egro si lagna.
E al suon di sue querele alte interrotte
Silenzio, Oscurità s'alzan turbati
Dal ferreo sonno di lor ampie grotte.
Qui pur regna tristezza! E al colle, ai prati
Agli alberi, alle fonti, ed agli augei
Narra il buon Veglio d'Amaritte i fati.
Anch'io, dolce Poeta, anch'io perdei
Tenera, amica, onde confondo or mesto
A' tuoi dirotti pianti i pianti miei.
Erano gli occhi suoi caro e modesto
Raggio di Luna, era il parlar gentile
Giojoso cardellino appena desto.
Ah! la Ninfa più amabile d'aprile
Che inghirlanda di rose i crini a Flora
Tanto non era a sua beltà simìle.
Ma come il Sol de la vezzosa Aurora
Le chiome arde e le vesti, e co' suoi dardi
Spegne i fioretti, e di Favonio l'òra;
Così Morte accigliata i dolci sguardi
Della tenera amica d'improvviso
Chiuse, ché i voti miei furono tardi.
Pallido e smorto io vidi il vago viso,
Udii gli estremi accenti, e l'fiato estremo
Esalare fra un languido sorriso.
È un anno intanto che coi pianti io spremo
Dell'affannato cor l'immensa doglia,
Che sol trovo conforto allor ch'io gemo.
Cinta di bianca radïante spoglia
Scende talora la pietosa amante
A consolarmi da l'empirea soglia.
E poco fa Ella apparve a me dinnante
A mano d'Amaritte, a cui conforme
Fu l'età, fu il costume, e fu l'sembiante.
A le fiorite placide lor orme
Io le conobbi, ed al sereno riso,
E le conobbi a le beato forme,
Sparpagliavano gigli, e dolce, e fiso
Aveano in me quel raggio, che d'intorno
Il piacer diffondea del Paradiso.
Poscia su rosea nube a lor soggiorno
Corteggiato dai Spiriti innocenti
Balenando beltà facean ritorno.
Ma tu, dolce Poeta, a' tuoi lamenti
Pon modo alfine, e fa' che un lieto canto
S'unisca ai loro angelici concenti.
Or che siedi su l'urna, e un serto intanto
Di cipresso lor tessi, Elle dal Cielo
Ti guardan coronato d'amaranto.
Oh! se avvolta talora in niveo volo
La gentil Coppia a raddolcir discendo
La piaga che a te fe' di morte il telo;
Deh! tu ravvisa alle Virginee bende
Al crin biondo alle cerule pupille
La mia Angioletta, e sospirando dille:
Odi che il tuo Fedel piange e t'attende.
Che or lagrima spargeva ed or sospiro.
Poi tutto sparve, ché tremenda voce
Rintuonò intorno, e da' lor cupi abissi
Tornàr la notte e il turbine feroce,
E ancor tremando quel che vidi io scrissi.
Il maggior Cherubino allor fe' segno
Ai sette Spirti, e rapidi il seguiro
Del firmamento vèr lo schiuso regno:
E in estasi di gioja e di martiro
Lasciàr quell'Angioletta su la Croce