Poesie di Ugo Foscolo

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Scritta da: Silvana Stremiz
Ombre dè Bruti, ai secoli mostrando
Alteramente il brando
Del padre tinto e dei figliuol nel sangue;
Te, o Libertà, se per le gelid'onde
Del Danubio e del Reno
Gisti fra genti indomite guerriere;
Te se raccolse nel sanguineo seno
Brittannia, e t'ascondea mortifer angue;
Te se al furor di mercenarie spade
De l'Oceàno da le ignote sponde
T'invitàr meste, e del tuo nome altero
Le americane libere contrade;
O le batave fonti,
O ti furo ricetto.
Ugo Foscolo
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    O di mille tiranni, a cui rapina
    Riga il soglio di sangue, imbelle terra!
    'Ve mentre civil fama ulula ed erra,
    Siede negra Politica reina;

         Dimmi: che mai ti val se a te vicina
    Compra e vil pace dorme, e se ignea guerra
    A te non mai le molli trecce afferra
    Onde crollarti in nobile ruina?

         Già striscia il popol tuo scarno e fremente,
    E strappa bestemmiando ad altri i panni,
    Mentre gli strappa i suoi man più potente.

         Ma verrà il giorno, e gallico lo affretta
    Sublime esempio, ch'ei de' suoi tiranni
    Farà col loro scettro alta vendetta.
    Ugo Foscolo
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Le rimembranze

      E questa è l'ora! mormorar io sento
      Co' miei sospiri in suon pietoso e basso
      Tra fronda e fronda il solitario vento.
           E scorgo il caro nome; e veggo il sasso
      Ove Laura s'assise, e scorro i prati
      Ch'ella meco trascorse a passo a passo.
           Quest'è la pianta che le diè i beati
      Fior ch'ella colse, e con le molli dita
      Vaga si fe, ghirlanda ai crini aurati.
           E questo è il conscio speco, e la romita
      Sponda cui mesto lambe un fonte e plora,
      E i ben perduti a piangere m'invita
           Qui de’ più gai colori ornossi Flora,
      Qui danzaro le Grazie, e qui ridente
      A mirar la mia donna uscì l'Aurora. 15
           E qui la Luna cheta e risplendente
      Guatocci, e rise; e irradïò quel ramo
      Ove ha nido usignol dolce-gemente;
           E scosso l'augellin, mentre ch'io: " T'Amo "
      A Laura replicava, uscir s'udia
      Ne' suoi dolci gorgheggi: " Io t'amo io t'amo ".
           O sacra rimembranza, o della mia
      Prima felicità tenera immago,
      Cui Laura forse a consolarmi invia;
           Vieni: tu vedi solitario e vago
      Il giovin vate, che piangendo porta
      Ahi! d'affanni più gravi il cor presago.
           Già s'avanza la Sera, e la ritorta
      Conca tien alla destra, e di rugiade
      Le languid'erbe, e i fiori arsi conforta.
           E il Sol che all'Oeeàn fiammeo ricade,
      Vario-tinge le nubi, e lascia il mondo
      All'atra Notte che muta lo invade.
           E tutto è mesto: e dal cimmerio fondo
      S'alzan con l'Ore negre e taciturne
      Oscuritate e Silenzio profondo.
           Era l'istante che su squallide urne
      Scapigliata la misera Eloisa
      Invocava le afflitte ombre notturne;
           E su1 libro del duolo u' stava incisa
      ETERNITADE E MORTE, a lamentarsi
      Veniasi Young sul corpo di Narcisa:
           Ch'io smarrito in sembiante, e aperti ed arsi
      I labbri, e incerto i detti, e gli occhi in pianto,
      Coi crin sul fronte impallidito sparsi,
           Addio diceva a Laura, e Laura intanto
      Fise in me avea le luci, ed agli addio
      Ed ai singulti rispondea col pianto
           E mi stringea la man: - tutto fuggìo
      Della notte l'orrore, e radïante
      Io vidi in cielo a contemplarci Iddio,
           E petto unito a petto palpitante,
      E sospiro a sospir, e riso a riso,
      La bocca le baciai tutto tremante.
           E quanto io vidi allor sembrommi un riso
      Dell'universo, e le candide porte
      Disserrarsi vid'io del Paradiso....
           Deh! a che non venne, e l'invocai, la morte?
      Ugo Foscolo
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Al sole

        Scritto e pubblicato nel 1797.

             Alfin tu splendi, o Sole, o del creato
        Anima e vita, immagine sublime
        Di Dio, che sparse la tua faccia immensa
        Di sua luce infinita! Ore e Stagioni,
        Tinte a vari color danzano belle
        Per l'aureo lume tuo misuratore
        De' secoli, e de' secoli scorrenti,
        Alfin tu splendi! tempestoso e freddo
        Copria nembo la terra; a gran volute
        Gravide nubi accavallate il cielo
        Empian di negre liete, e brontolando
        Per l'ampiezza dell'aere tremendi
        Rotolavano i tuoni, e lampi lampi
        Rompeano il bujo orribile. - Tacea
        Spaventata natura; il ruscelletto
        Timido e lamentevole fra l'erbe
        Volgeva il corso, nè stormian le frondi
        Per la foresta, nè dall'atre tane
        Sporgean le belve l'atterrita fronte. -
        Ulularono i venti, e ruinando
        Fra grandini, fra folgori, fra piove
        La bufera lanciosse, e riottoso
        Diffuse il fiume le gonfie e spumose
        Onde per le campagne, e svelti i tronchi
        Striderono volando, e da’ scommossi
        Ciglion dell'ondeggianti audaci rupi
        Piombàr torrenti, che spiccati massi
        Coll'acque strascinarono. Dal fondo
        D'una caverna i fremiti e la guerra
        Degli elementi udii; Morte su l'antro
        Mi s'affacciò gigante; ed io la vidi
        Ritta: crollò la testa e di natura
        L'esterminio additommi. - In ciel spiegasti,
        O Sol, tua fronte, e la procella orrenda
        Ti vide e si nascose, e i paurosi
        Irti fantasmi sparvero.... ma quanti
        Segni di lutto su i vedovi campi,
        Oimè, il nembo lasciò! Spogli di frutta,
        Aridi, e mesti sono i pria sì vaghi
        Alberi gravi, e le acerbette e colme
        Promettitrici di liquor giocondo
        Uve giacciono al suol; passa 1'armento
        E le calpesta; e istupidito e muto
        L'agricoltore le contempla e geme.

             Intanto scompigliata, irta e piangente
        Te, o Sol, ripriega la Natura, e il tuo
        Di pianto asciugator raggio saluta;
        E tu la accendi, e si rallegra e nuovi
        Prometto frutti e fior. Tutto si cangia,
        Tutto père quaggiù! Ma tu giammai,
        Eterna lampa, non ti cangi? mai?
        Pur verrà dì che nell'antiquo vòto
        Cadrai del nulla, allor che Dio suo sguardo
        Ritirerà da te: non più le nubi
        Corteggeranno a sera, i tuoi cadenti
        Raggi su l'Oceàno; e non più l'Alba
        Cinta di un raggio tuo, verrà su l'Orto
        Ad annunziar che sorgi. Intanto godi
        Di tua carriera: oimè! ch'io sol non godo
        De' miei giovani giorni: io sol rimiro
        Gloria e piacere, ma lugubri e muti
        Sono per me, che dolorosa ho l'alma.
        Sul mattin della vita io non mirai
        Pur anco il Sole; e omai son giunto a sera
        Affaticato; e sol la notte aspetto
        Che mi copra di tenebre e di morte
        Ugo Foscolo
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          Quando la terra è d'ombre ricoverta,
          E soffia 'l vento, e in su le arene estreme
          L'onda va e vien che mormorando geme,
          E appar la luna tra le nubi incerta;

               Torno dove la spiaggia è più deserta
          Solingo a ragionar con la mia speme,
          E del mio cor che sanguinando geme
          Ad or ad or palpo la piaga aperta.

               Lasso! me stesso in me più non discerno,
          E languono i miei dì come viola
          Nascente ch'abbia tempestata il verno;

               Chè va lungi da me colei che sola
          Far potea sul mio labbro il riso eterno:
          Luce degli occhi miei, chi mi t'invola
          Ugo Foscolo
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            In morte di Amaritte

            ELEGIA
             Qui sorge un'urna, e qui in funereo manto
            Erran le Grazie, e qui echeggiar s'ascolta
            Flebili versi, fioche voci, e pianto.
                 E di cipressi sotto oscura volta
            Cupa Malinconia muta s'aggira
            Coi crin su gli occhi, e nel suo duol raccolta.
                 Qui gemebondo a lagrimar si mira
            Vate canuto su la sorda pietra,
            E ora ammuta, ora geme, ed or sospira:
                 Giace da un lato al suol mesta la cetra,
            Che con le dolci fila tremolando
            Manda intorno armonia confusa e tetra;
                 E i primi affanni suoi più rammentando
            Al tetro suon Filomela risponde
            Suoi lai soavemente modulando.
                 Al duol che il Vate misero diffonde
            Tutto sospira, tutto s'accompagna
            Tutto a piangere seco si confonde.
                 Trista è così de' morti la campagna
            Allor che Young fra l'ombre de la notte
            Sul fato di Narcisa egro si lagna.
                 E al suon di sue querele alte interrotte
            Silenzio, Oscurità s'alzan turbati
            Dal ferreo sonno di lor ampie grotte.
                 Qui pur regna tristezza! E al colle, ai prati
            Agli alberi, alle fonti, ed agli augei
            Narra il buon Veglio d'Amaritte i fati.
                 Anch'io, dolce Poeta, anch'io perdei
            Tenera, amica, onde confondo or mesto
            A' tuoi dirotti pianti i pianti miei.
                 Erano gli occhi suoi caro e modesto
            Raggio di Luna, era il parlar gentile
            Giojoso cardellino appena desto.
                 Ah! la Ninfa più amabile d'aprile
            Che inghirlanda di rose i crini a Flora
            Tanto non era a sua beltà simìle.
                 Ma come il Sol de la vezzosa Aurora
            Le chiome arde e le vesti, e co' suoi dardi
            Spegne i fioretti, e di Favonio l'òra;
                 Così Morte accigliata i dolci sguardi
            Della tenera amica d'improvviso
            Chiuse, ché i voti miei furono tardi.
                 Pallido e smorto io vidi il vago viso,
            Udii gli estremi accenti, e l'fiato estremo
            Esalare fra un languido sorriso.
                 È un anno intanto che coi pianti io spremo
            Dell'affannato cor l'immensa doglia,
            Che sol trovo conforto allor ch'io gemo.
                 Cinta di bianca radïante spoglia
            Scende talora la pietosa amante
            A consolarmi da l'empirea soglia.
                 E poco fa Ella apparve a me dinnante
            A mano d'Amaritte, a cui conforme
            Fu l'età, fu il costume, e fu l'sembiante.
                 A le fiorite placide lor orme
            Io le conobbi, ed al sereno riso,
            E le conobbi a le beato forme,
                 Sparpagliavano gigli, e dolce, e fiso
            Aveano in me quel raggio, che d'intorno
            Il piacer diffondea del Paradiso.
                 Poscia su rosea nube a lor soggiorno
            Corteggiato dai Spiriti innocenti
            Balenando beltà facean ritorno.
                 Ma tu, dolce Poeta, a' tuoi lamenti
            Pon modo alfine, e fa' che un lieto canto
            S'unisca ai loro angelici concenti.
                 Or che siedi su l'urna, e un serto intanto
            Di cipresso lor tessi, Elle dal Cielo
            Ti guardan coronato d'amaranto.
                 Oh! se avvolta talora in niveo volo
            La gentil Coppia a raddolcir discendo
            La piaga che a te fe' di morte il telo;
                 Deh! tu ravvisa alle Virginee bende
            Al crin biondo alle cerule pupille
            La mia Angioletta, e sospirando dille:
                 Odi che il tuo Fedel piange e t'attende.
            Ugo Foscolo
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