Scritta da: Silvana Stremiz

Il Bosco

O vecchio bosco pieno d'albatrelli,
che sai di funghi e spiri la malìa,
cui tutto io già scampanellare udìa
di cicale invisibili e d'uccelli:
in te vivono i fauni ridarelli
ch'hanno le sussurranti aure in balìa;
vive la ninfa, e i passi lenti spia,
bionda tra le interrotte ombre i capelli.
Di ninfe albeggia in mezzo alla ramaglia
or sì or no, che se il desìo le vinca,
l'occhio alcuna ne attinge, e il sol le bacia.
Dileguano; e pur viva è la boscaglia,
viva sempre nè fior della pervinca
e nelle grandi ciocche dell'acacia.
Giovanni Pascoli
dal libro "Myricae" di Giovanni Pascoli
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Alba

    Odoravano i fior di vitalba
    per via, le ginestre nel greto;
    aliavano prima dell'alba
    le rondini nell'uliveto.
    Aliavano mute con volo
    nero, agile, di pipistrello;
    e tuttora gemea l'assiolo,
    che già spincionava il fringuello.
    Tra i pinastri era l'alba che i rivi
    mirava discendere giù:
    guizzò un raggio, soffiò su gli ulivi;
    virb... disse una rondine; e fu
    giorno: un giorno di pace e lavoro,
    che l'uomo mieteva il suo grano,
    e per tutto nel cielo sonoro
    saliva un cantare lontano.
    Giovanni Pascoli
    dal libro "Myricae" di Giovanni Pascoli
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Benedizione

      È la sera: piano piano
      passa il prete paziente,
      salutando della mano
      ciò che vede e ciò che sente.
      Tutti e tutto il buon piovano
      benedice santamente:
      anche il loglio, là, nel grano;
      qua, nè fiori, anche il serpente.
      Ogni ramo, ogni uccellino
      sì del bosco e sì del tetto,
      nel passare ha benedetto:
      anche il falco, anche il falchetto
      nero in mezzo al ciel turchino,
      anche il corvo, anche il becchino,
      poverino,
      che lassù nel cimitero
      raspa raspa il giorno intiero.
      Giovanni Pascoli
      dal libro "Myricae" di Giovanni Pascoli
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        In viaggio

        Si ferma, e già fischia, ed insieme,
        tra il ferreo strepito del treno,
        si sente una squilla che geme,
        là da un paesello sereno,
        paesello lungo la via:
        Ave Maria...
        Un poco, tra l'ansia crescente
        della nera vaporiera,
        l'addio della sera si sente
        seguire come una preghiera,
        seguire il treno che s'avvia:
        Ave Maria...
        E, come se voglia e non voglia,
        il treno nel partir vacilla:
        quel suono ci chiama alla soglia
        e alla lampada che brilla,
        nella casa, ch'è una badia:
        Ave Maria...
        Il padre a quel suono rincasa
        facendo un passo ad ogni tocco;
        e subito all'uscio di casa
        trova il visino del suo cocco,
        del più piccino che ci sia...
        Ave Maria...
        Si chiude, la casa; e s'appanna
        d'un tratto il vocerìo che c'è;
        si chiude, ristringe, accapanna,
        per parlare tra sé e sé;
        e saluta la compagnia...
        Ave Maria...
        O, tinta d'un lieve rossore,
        casina che sorridi al sole!
        Per noi c'è la notte con l'ore
        lunghe lunghe, con l'ore sole,
        con l'ore di malinconia...
        Ave Maria...
        Il treno già vola e ci porta
        sbuffando l'alito di fuoco;
        e ancora nell'aria più smorta
        ci giunge quell'addio più fioco,
        dal paese che fugge via:
        Ave Maria...
        E cessa. Ma uno che vuole
        velar gli occhi, pensar lontano,
        tra gemiti e strilli e parole,
        tra il frastuono or tremolo or piano,
        ode il suono che non s'oblia:
        Ave Maria...
        Con l'uomo che va nella notte,
        tra gli aspri urli, i lunghi racconti
        del treno che corre per grotte
        di monti, sopra lenti ponti,
        vien nell'ombrìa la voce pia:
        Ave Maria...
        Giovanni Pascoli
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Il Cane

          Noi mentre il mondo va per la sua strada,
          noi ci rodiamo, e in cuor doppio è l'affanno,
          e perché vada, e perché lento vada.
          Tal, quando passa il grave carro avanti
          del casolare, che il rozzon normanno
          stampa il suolo con zoccoli sonanti,
          sbuca il can dalla fratta, come il vento;
          lo precorre, rincorre; uggiola, abbaia.
          Il carro è dilungato lento lento.
          Il cane torna sternutando all'aia.
          Giovanni Pascoli
          dal libro "Myricae" di Giovanni Pascoli
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Tra il dolore e la gioia

            Vidi il mio sogno sopra il monte in cima;
            era una striscia pallida, cò suoi
            Boschi d'un verde quale mai né prima
            vidi né poi.
            Prima, il sonante nembo coi velari,
            tutto ascondeva, delle nubi nere:
            poi, tutto il sole disvelò del pari
            bello a vedere.
            Ma quel mio sogno al raggio d'un'aurora
            nuova m'apparve e sparve in un baleno,
            che il ciel non era torbo più né ancora
            tutto sereno.
            Giovanni Pascoli
            dal libro "Myricae" di Giovanni Pascoli
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Le Ciaramelle

              Udii tra il sonno le ciaramelle,
              ho udito un suono di ninne nanne.
              Ci sono in cielo tutte le stelle,
              ci sono i lumi nelle capanne.
              Sono venute dai monti oscuri
              le ciaramelle senza dir niente;
              hanno destata nè suoi tuguri
              tutta la buona povera gente.
              Ognuno è sorto dal suo giaciglio;
              accende il lume sotto la trave;
              sanno quei lumi d'ombra e sbadiglio,
              di cauti passi, di voce grave.
              Le pie lucerne brillano intorno,
              là nella casa, qua su la siepe:
              sembra la terra, prima di giorno,
              un piccoletto grande presepe.
              Nel cielo azzurro tutte le stelle
              paion restare come in attesa;
              ed ecco alzare le ciaramelle
              il loro dolce suono di chiesa;
              suono di chiesa, suono di chiostro,
              suono di casa, suono di culla,
              suono di mamma, suono del nostro
              dolce e passato pianger di nulla.
              O ciaramelle degli anni primi,
              d'avanti il giorno, d'avanti il vero,
              or che le stelle son là sublimi,
              conscie del nostro breve mistero;
              che non ancora si pensa al pane,
              che non ancora s'accende il fuoco;
              prima del grido delle campane
              fateci dunque piangere un poco.
              Non più di nulla, sì di qualcosa,
              di tante cose! Ma il cuor lo vuole,
              quel pianto grande che poi riposa,
              quel gran dolore che poi non duole;
              sopra le nuove pene sue vere
              vuol quei singulti senza ragione:
              sul suo martòro, sul suo piacere,
              vuol quelle antiche lagrime buone!
              Giovanni Pascoli
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                L'or di notte

                Nelle case, dove ancora
                si ragiona coi vicini
                presso al fuoco, e già la nuora
                porta a nanna i suoi bambini,
                uno in collo e due per mano;
                pel camino nero il vento,
                tra lo scoppiettar dei ciocchi,
                porta un suono lungo e lento,
                tre, poi cinque, sette tocchi,
                da un paese assai lontano:
                tre, poi cinque e sette voci,
                lente e languide, di gente:
                voci dal borgo alle croci,
                gente che non ha più niente:
                - Fate piano! Piano! Piano!
                Non vogliamo saper nulla:
                notte? Giorno? Verno? State?
                Piano, voi, con quella culla!
                Che non pianga il bimbo... Fate
                piano! Piano! Piano! Piano!
                Non vogliamo ricordare
                vino e grano, monte e piano,
                la capanna, il focolare,
                mamma, bimbi... Fate piano!
                Piano! Piano! Piano! Piano!
                Giovanni Pascoli
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