Le migliori poesie di Federico García Lorca

Poeta e drammaturgo, nato domenica 5 giugno 1898 a Fuente Vaqueros (Spagna), morto mercoledì 19 agosto 1936 a Alfacar (Spagna)
Questo autore lo trovi anche in Frasi & Aforismi e in Frasi per ogni occasione.

Scritta da: Eclissi

Elegia del silenzio

Silenzio, dove porti
il tuo vetro appannato
di sorrisi, di parole
e di pianti dell'albero?
Come pulisci, silenzio,
la rugiada del canto
e le macchie sonore
che i mari lontani
lasciano sul bianco
sereno del tuo velo?
Chi chiude le tue ferite
quando sopra i campi
qualche vecchia noria
pianta il suo lento dardo
sul tuo vetro immenso?

Dove vai se al tramonto
ti feriscono le campane
e spezzano il tuo riposo
gli sciami delle strofe
e il gran rumore dorato
che cade sopra i monti
azzurri singhiozzando?

L'aria dell'inverno
spezza il tuo azzurro
e taglia le tue foreste
il lamento muto
di qualche fonte fredda.

Dove posi le mani,
la spina del riso
o il bruciante fendente
della passione trovi.

Se vai agli astri
il solenne concerto
degli uccelli azzurri
rompe il grande equilibrio
del tuo segreto pensiero.

Fuggendo il suono
sei anche tu suono,
spettro d'armonia,
fumo di grido e di canto.
Vieni a dirci
la parola infinita
nelle notti oscure
senza alito, senza labbra.

Trafitto da stelle
e maturo di musica,
dove porti, silenzio,
il tuo dolore extraumano,
dolor di esser prigioniero
nella ragnatela melodica,
cieco per sempre
il tuo sacro fonte?
Oggi le tue onde trascinano
con torbidi pensieri
la cenere sonora
e il dolore del passato.
Gli echi dei gridi
che svanirono per sempre.
Il tuono remoto
del mare, mummificato.

Se Geova dorme
sali al trono splendente,
spezzagli in fronte
una stella spenta
e lascia davvero
la musica eterna,
l'armonia sonora
di luce, e intanto
torna alla tua fonte,
dove nella notte eterna,
prima di Dio e del tempo
sgorgavi in pace.
Federico García Lorca
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    Scritta da: Eclissi

    Casida delle colombe oscure

    Sui rami dell'alloro
    camminano due colombe oscure.
    L'una era il sole,
    l'altra la luna.
    "Casigliane mie," chiesi,
    "dove sta la mia sepoltura?"
    "Nella mia coda", disse il sole.
    "Nella mia gola", disse la luna.
    Ed io che andavo camminando
    con la terra alla cintola
    vidi due aquile di neve
    e una ragazza nuda.
    L'una era l'altra
    e la ragazza era nessuna.
    "Care aquile, " chiesi,
    "dove sta la mia sepoltura?"
    "Nella mia coda", disse il sole.
    "Nella mia gola", disse la luna.
    Sui rami dell'alloro
    vidi due colombe nude.
    L'una era l'altra
    ed entrambe nessuna.
    Federico García Lorca
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      Scritta da: Eclissi

      Alba

      Mi corazón oprimido
      siente junto a la alborada
      el dolor de sus amores
      y el sueño de las distancias.
      La luz de la aurora lleva
      semillero de nostalgias
      y la tristeza sin ojos
      de la médula del alma.
      La gran tumba de la noche
      su negro velo levanta
      para ocultar con el día
      la inmensa cumbre estrellada.

      ¡Què harè yo sobre estos campos
      cogiendo nidos y ramas,
      rodeado de la aurora
      y llena de noche el alma!
      ¡Què harè si tienes tus ojos
      muertos a las luces claras
      y no ha de sentir mi carne
      el calor de tus miradas!

      ¿Por què te perdì por siempre
      en aquella tarde clara?
      Hoy mi pecho està reseco
      como una estrella apagada.
      Federico García Lorca
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        Scritta da: Anna Alleva

        Compianto per Ignazio Sánchez Mejías - il sangue sparso

        Non voglio vederlo!
        Di' alla luna che si mostri;
        non voglio vedere il sangue
        d'Ignazio sopra l'arena.
        Non voglio vederlo!
        È spalancata la luna.
        Cavallo di calme nubi
        e circo grigio del sogno
        con salici in prima fila.
        Non voglio vederlo!
        Il mio ricordo si brucia.
        Avvisate i gelsomini
        di minuscolo candore!
        Non voglio vederlo!
        La vacca del vecchio mondo
        passava la triste sua lingua
        sopra un muso di grumi
        di sangue in terra versato.
        Ed i tori di Guisando,
        quasi morte e quasi pietra,
        mugghiaron come due secoli
        sazi di premere il suolo.
        No.
        Non voglio vederlo!
        Sale Ignazio sui gradini,
        tutta la sua morte a spalla.
        Andava in cerca dell'alba
        e l'alba non esisteva.
        Cerca il suo fermo profilo
        e il sogno lo disorienta.
        Il suo bel corpo cercava
        e trovò il suo sangue aperto.
        Non ditemi di vederlo!
        Non voglio sentire il getto
        che sempre più s'affioca;
        il getto che le tribune
        illumina e si riversa
        sopra il fustagno ed il cuoio,
        della folla sitibonda.
        Chi mi grida di mostrarmi!
        Non ditemi di vederlo.
        Non si chiusero i suoi occhi
        nel vedersi lì le corna;
        ma le terribili madri
        rizzarono allora il capo.
        Ed attraverso gli allevamenti
        corse un vento di voci segrete,
        a tori celesti gridate
        da mandriani di pallida nebbia.
        Non principe di Siviglia
        potrebbe essergli pari,
        né spada come la sua
        né cuore del suo più vero.
        Come un fiume di leoni
        il suo stupendo vigore,
        e come un torso di marmo
        la sua lineata saggezza.
        Aria di Roma andalusa
        gli dorava la testa
        dove il suo riso era un nardo
        di sale e d'intelligenza.
        Che gran torero in arena!
        Che buon montanaro ai monti!
        Quanto mite con le spighe!
        Quanto duro con gli sproni!
        Tenero con la rugiada!
        Che bagliore nella fiera!
        Quanto tremendo con l'ultime
        banderillas della tenebra!
        Ma ora dorme in eterno.
        Ora i muschi e l'erba dischiudono
        con loro dita sicure
        il fiore del suo teschio.
        E il suo sangue ora viene cantando:
        cantando per maremme e praterie,
        sdrucciolando su corna intirizzite;
        senz'anima vacilla nella nebbia.
        In migliaia di zoccoli inciampando
        come una lunga, oscura, triste lingua,
        per formare una pozza d'agonia
        presso il Guadalquivir del firmamento.
        Oh bianco muro di Spagna!
        Oh nero toro di pena!
        Oh sangue duro d'Ignazio!
        Oh usignolo delle sue vene!
        No.
        Non voglio vederlo!
        Un calice non v'è che lo contenga,
        non vi son rondinelle che lo bevano,
        non v'è brina di luce che lo geli,
        non di gigli v'è canto né diluvio,
        non cristallo che lo copra d'argento.
        No.
        Io non voglio vederlo!
        Federico García Lorca
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