in Poesie (Poesie d'Autore)
Bordone
Ti vedrò?
Non ti vedrò?
A me importa
soltanto il tuo amore.
Hai sempre il riso di allora
e quel cuore?
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Ti vedrò?
Non ti vedrò?
A me importa
soltanto il tuo amore.
Hai sempre il riso di allora
e quel cuore?
Silenzio, dove porti
il tuo vetro appannato
di sorrisi, di parole
e di pianti dell'albero?
Come pulisci, silenzio,
la rugiada del canto
e le macchie sonore
che i mari lontani
lasciano sul bianco
sereno del tuo velo?
Chi chiude le tue ferite
quando sopra i campi
qualche vecchia noria
pianta il suo lento dardo
sul tuo vetro immenso?
Dove vai se al tramonto
ti feriscono le campane
e spezzano il tuo riposo
gli sciami delle strofe
e il gran rumore dorato
che cade sopra i monti
azzurri singhiozzando?
L'aria dell'inverno
spezza il tuo azzurro
e taglia le tue foreste
il lamento muto
di qualche fonte fredda.
Dove posi le mani,
la spina del riso
o il bruciante fendente
della passione trovi.
Se vai agli astri
il solenne concerto
degli uccelli azzurri
rompe il grande equilibrio
del tuo segreto pensiero.
Fuggendo il suono
sei anche tu suono,
spettro d'armonia,
fumo di grido e di canto.
Vieni a dirci
la parola infinita
nelle notti oscure
senza alito, senza labbra.
Trafitto da stelle
e maturo di musica,
dove porti, silenzio,
il tuo dolore extraumano,
dolor di esser prigioniero
nella ragnatela melodica,
cieco per sempre
il tuo sacro fonte?
Oggi le tue onde trascinano
con torbidi pensieri
la cenere sonora
e il dolore del passato.
Gli echi dei gridi
che svanirono per sempre.
Il tuono remoto
del mare, mummificato.
Se Geova dorme
sali al trono splendente,
spezzagli in fronte
una stella spenta
e lascia davvero
la musica eterna,
l'armonia sonora
di luce, e intanto
torna alla tua fonte,
dove nella notte eterna,
prima di Dio e del tempo
sgorgavi in pace.
La luna cammina sull'acqua
com'è tranquillo il cielo!
Va segando lentamente
il tremore vecchio del fiume
mentre un ramo giovane
la prende per uno specchio.
Sui rami dell'alloro
camminano due colombe oscure.
L'una era il sole,
l'altra la luna.
"Casigliane mie," chiesi,
"dove sta la mia sepoltura?"
"Nella mia coda", disse il sole.
"Nella mia gola", disse la luna.
Ed io che andavo camminando
con la terra alla cintola
vidi due aquile di neve
e una ragazza nuda.
L'una era l'altra
e la ragazza era nessuna.
"Care aquile, " chiesi,
"dove sta la mia sepoltura?"
"Nella mia coda", disse il sole.
"Nella mia gola", disse la luna.
Sui rami dell'alloro
vidi due colombe nude.
L'una era l'altra
ed entrambe nessuna.
Sui rami
indecisi
andava una fanciulla
ed era la vita.
Sui rami
indecisi.
Con uno specchietto
rifletteva il giorno
che era lo splendore
della sua fronte pura.
Sui rami
indecisi.
Sulle tenebre
andava sperduta,
piangendo rugiada,
prigioniera del tempo.
Sui rami
indecisi.
Controluce a un tramonto
di pesca e zucchero.
E il sole all'interno del vespro,
come il nocciolo in un frutto.
La pannocchia serba intatto
il suo riso giallo e duro.
Agosto.
I bambini mangiano
pane scuro e saporita luna.
Mi corazón oprimido
siente junto a la alborada
el dolor de sus amores
y el sueño de las distancias.
La luz de la aurora lleva
semillero de nostalgias
y la tristeza sin ojos
de la médula del alma.
La gran tumba de la noche
su negro velo levanta
para ocultar con el día
la inmensa cumbre estrellada.
¡Què harè yo sobre estos campos
cogiendo nidos y ramas,
rodeado de la aurora
y llena de noche el alma!
¡Què harè si tienes tus ojos
muertos a las luces claras
y no ha de sentir mi carne
el calor de tus miradas!
¿Por què te perdì por siempre
en aquella tarde clara?
Hoy mi pecho està reseco
como una estrella apagada.
Non voglio vederlo!
Di' alla luna che si mostri;
non voglio vedere il sangue
d'Ignazio sopra l'arena.
Non voglio vederlo!
È spalancata la luna.
Cavallo di calme nubi
e circo grigio del sogno
con salici in prima fila.
Non voglio vederlo!
Il mio ricordo si brucia.
Avvisate i gelsomini
di minuscolo candore!
Non voglio vederlo!
La vacca del vecchio mondo
passava la triste sua lingua
sopra un muso di grumi
di sangue in terra versato.
Ed i tori di Guisando,
quasi morte e quasi pietra,
mugghiaron come due secoli
sazi di premere il suolo.
No.
Non voglio vederlo!
Sale Ignazio sui gradini,
tutta la sua morte a spalla.
Andava in cerca dell'alba
e l'alba non esisteva.
Cerca il suo fermo profilo
e il sogno lo disorienta.
Il suo bel corpo cercava
e trovò il suo sangue aperto.
Non ditemi di vederlo!
Non voglio sentire il getto
che sempre più s'affioca;
il getto che le tribune
illumina e si riversa
sopra il fustagno ed il cuoio,
della folla sitibonda.
Chi mi grida di mostrarmi!
Non ditemi di vederlo.
Non si chiusero i suoi occhi
nel vedersi lì le corna;
ma le terribili madri
rizzarono allora il capo.
Ed attraverso gli allevamenti
corse un vento di voci segrete,
a tori celesti gridate
da mandriani di pallida nebbia.
Non principe di Siviglia
potrebbe essergli pari,
né spada come la sua
né cuore del suo più vero.
Come un fiume di leoni
il suo stupendo vigore,
e come un torso di marmo
la sua lineata saggezza.
Aria di Roma andalusa
gli dorava la testa
dove il suo riso era un nardo
di sale e d'intelligenza.
Che gran torero in arena!
Che buon montanaro ai monti!
Quanto mite con le spighe!
Quanto duro con gli sproni!
Tenero con la rugiada!
Che bagliore nella fiera!
Quanto tremendo con l'ultime
banderillas della tenebra!
Ma ora dorme in eterno.
Ora i muschi e l'erba dischiudono
con loro dita sicure
il fiore del suo teschio.
E il suo sangue ora viene cantando:
cantando per maremme e praterie,
sdrucciolando su corna intirizzite;
senz'anima vacilla nella nebbia.
In migliaia di zoccoli inciampando
come una lunga, oscura, triste lingua,
per formare una pozza d'agonia
presso il Guadalquivir del firmamento.
Oh bianco muro di Spagna!
Oh nero toro di pena!
Oh sangue duro d'Ignazio!
Oh usignolo delle sue vene!
No.
Non voglio vederlo!
Un calice non v'è che lo contenga,
non vi son rondinelle che lo bevano,
non v'è brina di luce che lo geli,
non di gigli v'è canto né diluvio,
non cristallo che lo copra d'argento.
No.
Io non voglio vederlo!