Giro tra i sogni
e respiro la tua assenza
vicina al mio cuore
e lontana dagli occhi,
accarezzo la tua essenza
l'aria e il vuoto così pieno
delle tue parole dolci.
In musica.
Mi accarezza la mano il ricordo
delle sue labbra sulla mia pelle
al confine tra l'essere già donna
e ancora un poco bambina.
È il mistero che ci imprigiona vivi,
presenti in questo lampo di tempo
improvviso e ininterrotto, che fiorisce
di primavera sbocciata dal ventre
spoglio dei nostri intimi gesti futuri.
Attendo e intanto accarezzo le corde
di un'anima nuova, che veste di luce
parole decadute in un tempo indefinito
prima della tua venuta a consolarmi.
All’alba del cambio di mese
mi hai accarezzata con le tue
parole, mani nelle mani,
occhi contro immagini che
si spingono dentro al petto.
Morte clinica. Inspiro ed
espiro il tuo passaggio fuori
dal presente. Né ora, né mai.
La tua cara utopia mi faceva
stare bene e il teatro della
vita mi sembrava così vero
e potente era la tua assenza
da parlarne in continuazione.
La tua utopia mi fa soffrire
e questa stanza della vita
mi appare nel suo inganno
fredda e mi gela nel sangue
la tua assenza che io cerco.
Scava, scava - dice quella voce -
piangi, grida e soffri - sono le
sue parole d'ordine sempre
pronte all'occorrenza. Nulla trovo
e tutto si dilegua al chiaro mattino.
Ho nella testa una domanda
è lenta, agitata, avventata
non scappa, non fugge, si ridesta
a muso duro mi schiaffeggia
mi calpesta, mi tiene in scacco.
Quanto dura questo inferno? Non so
non conosco i tempi del suo grido
che mi sanguina dentro e non si
sazia. Urla del mio eco di dolore.
Non esco dal buio qui intorno
tremo poco a poco nella mia
tomba profonda di sottili paure
e stiletti di domande inadeguate.
Vivo nella mia stanza a luce
intermittente - tic tac, tic tac -
buio poi chiaro, chiaro e poi...
domando al nulla quella risposta.
Lei vive stanca nel ventre nascosto
la cerco e la imploro ad uscire
ma svanisce per gli organi di senso,
fragile e spessa da stare male.
Rimbalza la vita
quanto una palla
sul cemento armato
e si soffoca sì.
Le sue mani
mi prendono a schiaffi
e la sua corda mi stringe
e mi sento morire.
Arriverà il momento
del riscatto,
lo attendono tutti
e così anch'io
sul filo della vita.
Si chiuderà il cerchio?
Cesseranno i dolori?
Smetteremo di piangere?
Non esiste una risposta
all'abitudine della vita.
Si sfibra il cuore
strofina il sangue
di vene rotte e
arterie strette
la morsa della morte.
Due braccia alzate al cielo
avanzano piano e si disgregano
forse un nuotatore non lo so;
sono solo nubi bianche e luminose.
Corre marzo appena giunto
nel mio essere donna...
destinata ad amare nel ventre della sconfitta.