Scritto da: Fragolosa67
Un incontro speciale.

Tutto è cominciato dal mio scoprire l'interesse per la storia grazie ad un comportamento razzista che mi ha costretta ad andare via da Milano, lasciare la madre appena ritrovata dopo anni, perché la scuola di via Pisacane non era adatta ad accogliere la gente meridionale. Non ho pianto. La suora ha detto che era la cosa da farsi. Era Vero! Non ho mai pianto mia madre anzi, sinceramente mi ero dimenticata la sua faccia.
Quando l'ho vista, mi è stata presentata e di primo acchito mi ha fatto antipatia. La mamma era una donna che somigliava molto a Brigitte Bardot luminosa e bellissima. Le bambine grandi mi avevano avvisato che sarebbe tornata a prendermi e me l'avevano descritta.
Bionda, con i capelli lunghi molto pettinati, la minigonna e gli stivali bianchi. Sembrava uscita dallo schermo di un cinema ed io non potevo presentarmi scompigliata in più ho ritenuto opportuno diventare pure io bella e splendente. Infatti, mi ero pettinata per diventarlo. Prima dell'incontro, in attesa del suo arrivo ho trovato un pettinino bianco su una sedia abbandonata fuori posto nel secondo cortile e me ne sono impossessata. Mi sono pettinata con impegno specchiandomi nel bagno del primo piano. Il pettine l'ho utilizzato anche dentro la sala riunioni. Ad un certo punto, ho visto numerose formiche scappar fuori dalla mia testa. Saltavano ed erano grandi.
I pidocchi! Le bambine si spostavano per osservare bene la gara che ho impiantato sul momento. Era divertente vedere i pidocchi saltare sul tavolo lucido di legno di radica. Ridevo felice per avere trovato un gioco stupendo mostrando la mia solidarietà cercando la partecipazione di gruppo. I pidocchi scivolavano che era una meraviglia.  Se tentavano di fuggire dalla corsa li schiacciavo al volo. Tanto ne avevo di riserva! Ogni volta che passavo il pettine saltavano giù pronti per gareggiare. Se morivano i disertori c'erano gli altri atleti pronti per lo stacco. Le adolescenti mi guardavano con occhio critico quasi traditore. Ho pensato fossero dispiaciute per la mattanza. Una di loro, con fare sinistro si è allontanata. Guadagnata l'uscita camminando all'incontrario ha corso. Dovevo schiacciarla! Dopo poco, è arrivata suor Beatrice e mi ha acciuffato al volo. Mi ha messo in braccio e correndo mi ha portato due stanze più avanti la sala. In lavanderia. Davanti alla lavatrice mi ha fatto sedere tagliandomi i capelli a caschetto. Poi mi ha fatto lo shampoo sottraendomi il pettinino ormai mio. Il problema si è risolto così. La perdita del pettine ha segnato la fine della possibilità di ripetere il gioco per mancanza di sportivi tutti deceduti causa forza maggiore ed io ho perso l'occasione di essere come la mamma uguale a Brigitte Bardot.

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Sono finita in un grande pullman insieme ad altri bambini a metà della seconda elementare su espressa richiesta di un papà che, incurante della mia presenza, ha mostrato un grosso disappunto per me.
Era un uomo autorevole ed avrebbe portato via sua figlia da quella scuola pubblica se fossi rimasta io.
Aveva già tolto la figlia dall'attività sportiva e le ordinava di non accettare nulla dall'aliena. Anche l'insegnante era concorde e tutti mi guardavano come se io fossi diventata all'improvviso tutta verde. Non mi pesava il loro comportamento perché la mia attività scolastica era dinamica. L'insegnante con una smorfia ha detto alla suora che ero brava. Mi interrogava spesso ed era solita farci scrivere molto. Ho dovuto spiegare davanti alla cattedra parecchie letture su gente tonta. Uno di questi personaggi aveva cucinato cinque piselli di numero e per constatarne la cottura, se li era mangiati tutti. Un altro ha chiesto di diventare tutto d'oro e poi si disperava perché non poteva nutrirsi. Un altro era un amico infame che alla vista di un orso si è dileguato lasciando l'altro in balia del pericolo. Fortunatamente costui si è sdraiato fingendosi morto. L'Infame, allontanatosi l'orso, è sceso dalla pianta dove aveva trovato rifugio e ha chiesto all'amico cosa era successo quando l'orso si era avvicinato a lui. L'uomo all'ora gli ha risposto che l'orso gli ha detto di guardarsi dai falsi amici e poi l'ha lasciato vivo. La storia più bella che mi ha fatto divertire parecchio è stata quella dei due ladri che contavano le patate rubate, all'interno di una chiesa quando ormai era sera. Se ci penso mi viene ancora da ridere. La conta è stata scambiata per quella fatta dal diavolo che si contava le anime dannate mentre le spartiva con il Padre Eterno. Ah! Ah! Ah! Perciò, mi divertivo. Il mio libro di lettura era bellissimo. Ah! Ah! Ah!. Ho finito di leggerlo a Selvino.
Una fila di pennarelli Carioca appena ricevuti dalla mamma mi ha aveva fatto dimenticare primo giorno di scuola. Non è stato semplice entrare in classe. La lezione era già iniziata. Con la suora sono andata prima ai servizi ed ho imparato a fare i bisogni in piedi. Poi, abbiamo bussato. Mi sono tolta il cappello. La suora l'ha trattenuto. Ero intimorita e mi è uscita una lacrimuccia perché tutti si sono voltati osservandomi creando un improvviso silenzio rotto dall'insegnante: Lei è la nuova bambina che abbiamo in classe. Arriva dalla Sicilia. Dicendolo si è avvicinata a noi andandoci incontro. Mi ha indicato il mio posto e ha detto alla suora: le lezioni sono iniziate da una settimana. Come mai è arrivata oggi? Tutta la settimana ero stata in collegio a prendere altre disposizioni. In silenzio, guardando i visi sconosciuti, mi sono avventurata fino al mio posto ed ho salutato la mia vicina di banco. Una bimba graziosa con i capelli lunghi e lisci di colore castano chiaro.
Nessuno mi parlava in classe tranne una ragazzina che camminava sulle punte. All'intervallo uscivo dalla classe e giocavo con i miei compagni di collegio. Io vivevo in una villetta gestita dalle monache ma di proprietà di una aristocratica di Milano felice di avermi lì perché le rette esclusa la scuola, erano care. Mi è stata data una camera da letto singola con una educatrice arrabbiatissima per la condivisione ma poi ha trovato un'altra sistemazione. Inoltre, avevo in dotazione metà di una lunga scrivania bianca bellissima per fare i compiti all'interno di una stanza che condividevo con altre ragazzine più mia sorella. In tutto eravamo due per scrivania. Dodici bimbe.
La mia preparazione era buona e costantemente monitorata dalla suora. Prendevo sempre bravissima ma era scritto calcato in rosso come una sgridata. Ero avanti rispetto alle mie coetanee nell'apprendimento perché in Sicilia, nel collegio delle suore vaticane, io condividevo la camera con la madre superiora che era la mia insegnante. Lei, durante i pomeriggi mentre correggeva compiti, mi faceva scrivere in un quaderno di bella copia. Aveva dei timbri blue che utilizzava per timbrare in alto a destra ogni due pagine. In quel quaderno non si poteva scrivere male! Le lettere erano stilizzate e vicino c'era la frutta disegnata oppure degli oggetti. Uno per lettera. In classe sono stata la prima che ho imparato a leggere, a comprendere i dittonghi e la matematica perché il ministro X. mi ha regalato le figurine degli uccelli. Tutte! Pure l'album per attaccarle! Lui dandomi questo regalo mi ha insegnato il trucco di come accostare fino a tre numeri per attaccare le figurine per poi leggerle. Così ho imparato a contare fino a mille e oltre.
Per la mia giovane età, non comprendevo essere terrona fino a quando ho deciso di piantare uno alla volta i mie cinque chicchi di grano tenuti gelosamente in tasca insieme ad una noce vecchia dell'anno prima. Li tenevo gelosamente all'interno della tasca del mio cappottino blue con il collo di pelliccia bianco. Allo spuntare veloce della prima piantina fra l'erba all'ingresso della villa, ho notato con mia somma meraviglia la rabbia della suora preoccupata per la sua aiuola. Anche il chicco di grano era di troppo? Dopo il quinto seme che ormai dopo un giorno era già una piccola piantina verde molto carina, mi sono sentita un rimbrotto di fronte a tutte e un terrona! Urlato con tanto piacere dalle bimbe. Detto a bocca piena. Poi, la risata collettiva.
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Ho tirato fuori una lingua lunga fino al mento voltandomi. Proprio come quando ho fatto la pipì addosso una notte che ero troppo rilassata e stavo sognando di essere al bagno. Anche lì mi hanno schernito e fatto mettere le mutande in testa per vergognarmi. Invece, mentre attendevo il ritorno di suor Beatrice che stava nella casa di Papa Giovanni XXIII, con strafottenza ho cacciato fuori la lingua e ho guardato dalla finestra.
Non li ho sentiti più deridermi. Mi sono dimenticata di avere le mutande in testa perché ho scoperto una cosa eccezionale che non avevo mai visto prima! Fuori dalla finestra c'era un grande terrazzo con un lavandino per il bucato. All'interno era rimasta l'acqua blue e il rubinetto faceva cadere delle gocce d'acqua. D'improvviso, è accaduto l'incredibile! Un mondo di fate davanti a me! Come tante stelle piccole e bianche cadevano lentamente i fiocchi che si posavano dolcemente dentro il lavandino per poi sparire. Il terrazzo sembrava magico. Io ero immobile. Meravigliata!
Una magia che mi aveva lasciato stupita con il naso schiacciato sul vetro. Qualcosa di meraviglioso e fantastico! Nel terrazzo grigio si accumulavano i piccoli fiocchi e il cielo era di un colore mai visto prima: bianco!
Non sapevo cosa stesse accadendo. Mi rendevo conto che davanti a me stava avvenendo una trasformazione del paesaggio. In questo mondo fantastico dove ero finita, non smettevo di guardare le stelle tuffarsi nell'acqua blue. Sentivo anche la musica in tanta meraviglia. Era il ticchettio costante della goccia che cadeva più decisa dal rubinetto creando dei piccoli cerchi per tanta felicità. Dopo poco ho sentito urlare: la neve! Scende la neve! Si sono dimenticati tutti di me quasi nell'immediato, appena ho voltato loro le spalle ma ho notato l'avvicinarsi di un'adolescente che le aveva fermate parlando a bassa voce. Avevano paura della madre superiora e prima o poi avrebbe fatto ritorno. Le avevo perse quelle adolescenti davanti a quel vetro fino a quando ci siamo trovate tutte accalcate con le facce appiccicate sui vetri, intente a stupirci di questo miracolo chiamato neve. Non capitava mai la sua caduta in Sicilia perciò, ci è sembrato una grande novità.

Terrona.

Non avevo più chicchi di grano e non potevo più piantarli ma non mi sono preoccupata e sono andata via dall'aiuola, stizzita non per la parola terrona che non sapevo cosa significasse ma perché nella tasca del mio cappottino blue con il colletto bianco di pelliccia, avevo in tasca solo la noce degli antenati e quella non volevo perderla.
Perciò l'ho conservata dimenticandomene.
Non lo sapevo che essere terrona voleva dire non potere vivere a Milano perciò ho ascoltato la suora con attenzione quando mi ha detto che mi salutava e che sarei finita in un altro posto.
Infatti, a metà lezione una mattina la suora è venuta a prendermi in classe e mi ha portato in un posto chiamato via Statuto. Mi hanno visitata e poi sono stata ad attendere che toccasse il mio turno per salire sul pullman.  Sono andata via con tanti sconosciuti e i miei due fratelli.
Lì ho continuato la seconda classe. Mi sono impegnata a completare i miei libri. Dopo l'estate, la scuola è continuata ma ho avuto una bella sorpresa. La colonia di Selvino mi ha voluto regalare un sussidiario!
Un libro meraviglioso che conteneva tante cose. Non più il libro di lettura e quello di matematica da completare ma un libro che aveva una storia che continuava in modo avvincente e delle immagini colorate che a volte parevano vive.
In questo libro, ho conosciuto un tale Muzio Scevola. Uomo determinato a tal punto da mettere la sua mano dentro un braciere e tutta una storia che aveva qualcosa di fantastico come la neve!
C'erano gli elefanti che camminavano dall'alto della pagina e scendevano in fila ordinata spaventando i poveri romani e delle donne che vivevano in case senza tetto come quelle di Trapani e amavano come noi le acque calde. Donne bellissime. Uomini che mangiavano sdraiati. La lotta. Il credo. Il Ratto delle Sabine.
I gemelli Gracchi. La sfida poi, all'improvviso il mio cognome segreto era lì. La prima famiglia di Roma gloriosa si chiamava come me! Allora io ero loro e quella che leggevo la mia storia. Forse anche i romani conoscevano Selvino con i boschi e i prati perché erano terroni!
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Ringrazio oggi questo padre razzista che involontariamente mi ha fatto vivere in armonia. A Selvino sono stata una bambina felice e vivace. La scuola milanese che ho lasciato aveva un non so che di triste con quel cortile con una sola pianta centrale. Tutto così ristretto e cupo. Anch'io, guardando dalla finestra della classe mi impensierivo perché ricordavo che da un' altra parte c'erano le colline di Soria, i nonni, Suor Lavatrice.
Lì ero la responsabile del giardino, delle adolescenti, del bellissimo frutteto con il grande cancello scuro. Il mio collegio era speciale. Nello stanzone dove ero finita in vista della chiusura definitiva c'era un lavatoio con l'acqua blue oltremare dove anche la neve amava tuffarsi.


Ancora la neve.

A Selvino c'era la neve altissima. Mi arrivava alle ginocchia ed io ero la goccia del rubinetto che si rotolava per la felicità tutto l'inverno. In montagna mi sentivo ancora a casa tanto da dimenticare come si cammina. Io non camminavo, facevo la ruota e giocavo con le api e con tutti i terroni come me. Eravamo felici di esserlo. Infatti, in questo posto probabilmente lo eravamo tutti anche i paesani che ci sorridevano sempre e ci venivano a lavare e cucinare senza problemi. Inoltre, si presentavano alle nostre feste e quando avevo sete bussavo nelle porte delle ville. Donne gentilissime mi aprivano dando l'acqua da bere non solo a me ma anche a chi mi era accanto.
Roma ha accompagnato i miei otto anni colorandoli. Non mi ha fatto sentire che non avevo la famiglia classica ma allargata e spensierata.
Alla fine, mi è dispiaciuto andarmene ma le cose belle non possono durare per sempre. Milano ha significato, andare all'ospedale a piegare le garzine e andare in una scuola limitata e piena di regole. Non è stato semplice vivere il nucleo famigliare limitato. Io avevo una famiglia più grande. Disposta diversamente da quella proposta dalla legge che, in verità, non mi mancava. Mi sentivo felice tra i prati e con i bambini. È stato un anno difficile, pesantissimo constatare che la famiglia non era il mio habitat giusto. Finalmente un angelo amico mi ha salvato dalla galera e sono tornata in collegio!
A volte la vita non è poi così ostile e le cose negative cessano. Bisogna pazientare ed io ho pazientato il tempo della fine dell'anno scolastico.
Composto sabato 10 settembre 2016

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