Ma finalmente capiva quello che Silente aveva cercato di dirgli. Era, si disse, la differenza fra l'essere trascinato nell'arena ad affrontare una battaglia mortale e scendere nell'arena a testa alta. Forse qualcuno avrebbe detto che non era una gran scelta, ma Silente sapeva -e lo so anch'io- pensò Harry con uno slancio di feroce orgoglio -e lo sapevano anche i miei genitori- che c'era tutta la differenza del mondo.
Era importante, aveva detto Silente, combattere e ancora combattere, e continuare a combattere, perché solo così il male poteva essere tenuto a bada, anche se non poteva mai essere completamente sradicato.
Percy scuoteva il fratello, Ron era inginocchiato accanto a loro, e gli occhi di Fred li fissavano senza vederli, lo spettro dell'ultima risata ancora impresso sul volto.
Ma Harry aveva occhi solo per l'uomo in piedi nel ritratto più grande, proprio dietro la poltrona del Preside. Le lacrime cadevano dietro gli occhiali a mezzaluna per finire nella lunga barba d'argento, e l'orgoglio e la gratitudine che emanava colmarono Harry di un balsamo simile al canto della fenice.
"Non avrà problemi" mormorò Ginny. Harry la guardò e distrattamente abbassò la mano a sfiorare la cicatrice a forma di saetta sulla fronte. "Lo so". La cicatrice non gli faceva male da diciannove anni. Andava tutto bene.