Scritto da: Gaspare Serra

Il "paradosso" della felicità...


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...così, finisce con l'assomigliare più ad un "pacchetto pubblicitario" preconfezionati dalla società a perfetto uso e consumo di ogni consumatore!

L'affermazione universale di una cultura "consumista ed iper-capitalista", poi, ha finito col creare una "religione laica interclassista" fondata su un unico dogma: quello per cui l'aumento della ricchezza sia sufficiente a garantire un proporzionale aumento della felicità (o quantomeno a non provocarne la diminuzione).
Una religione il cui straordinario successo è pari solo alla propria assiomatica "velleità": quella di credere l'uomo un perfetto consumatore e non anche un essere dotato di sentimenti e capace di emozionarsi!
Fondare la felicità sulla ricchezza equivale a costruire un enorme castello di sabbia: come credere che la misura della felicità di un uomo possa dipendere dalla capienza del suo portafoglio?
Come immaginare che la felicità possa essere un bene misurabile con unità di misura economiche quali il Pil, il reddito pro-capite o le rendite di capitale!?
La vera natura umana - diversamente da un comune bancomat! - si nutre non solo di bisogni materiali ma anche di bisogni squisitamente emozionali!
La ricchezza, dunque, può apportare certamente benessere all'uomo modermo ma non offre alcuna "garanzia di felicità".
"La felicità interna lorda è molto più importante del prodotto interno lordo", ha ... [segue »]

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