Scritto da: Maria Rosaria Teni

Un giorno all'improvviso... e intanto il fiume scorre


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...lo affatichi". In punta di piedi, timorosa di non reggere ma ansiosa, ho visto finalmente papà, circondato da macchine insondabili, il volto catturato in una maschera collegata ad un respiratore e che, nonostante tutto, aveva conservato la dolcezza inconfondibile dei lineamenti. Un'idea di respiro si intravedeva attraverso la trasparenza dei tubi. Avevo le gambe piantate sul pavimento, non riuscivo a muovere un passo eppure avrei voluto abbracciarlo, correre da lui in uno slancio d'affetto, accarezzargli la fronte diafana. Un misto di indefinibili sensazioni durate un'eternità. "Papà, sono qui – stentava la voce a venir fuori – è passato tutto, cerca di stare tranquillo". Lentamente aprì gli occhi. Sembra un atteggiamento normale ma quando vedi e ti accorgi che una persona non apre gli occhi capisci che non c'è più. Mio padre c'era ancora, mi guardava implorandomi silenziosamente, forse di smettere di soffrire. Cosa aveva provato durante quelle ore interminabili tra le mani dei medici? Cercava le mie parole che in quel momento non avevano la forza di essere dette. Scrutava sul mio volto segni di rassicurazione e manifestava mute domande: "Ce la farò? È arrivato il mio tempo? Cosa accadrà quando i miei occhi non avranno la forza di riaprirsi ... [segue »]

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