Seduta a dominare le mie distese interiori, umori placidi come la nebbia che scende, fitta, e sembra marea. Avvolge opacizzando gli occhi e dissolvendosi, poi, improvvisamente. Ed assisto ai voli pindarici di mille slanci che nulla hanno del sapore della vita, ma allungano e tirano, dilatano e distendono, per anticipare lo schianto. Io, su questa panchina, (mi) assisto. Assisto a queste scene, scollandomi dal drappo della mia stessa pelle e scuoiandomi i capelli, nudo scheletro. Come altalena, oscilla. Come i miei umori, oscillanti. Come una barella per riposare dalla malattia ed attendere il farmaco, la cura e la salvezza. Nessuna remissione. Nessun compenso. Non ci si salva. Si attende. Si assiste.
Seduta a farmi dominare, come una regina sul trono, ma dalle umili origini. Antica schiava con lo scettro fatto d'aria a brandire l'ossigeno, ché né la notte, né il giorno fanno la mia paura, ma l'interludio di sere e mattini, inframezzi indefiniti di luci instabili e tremanti a rifrangere fasci immaginari.
S inestesie E morragiche D renano U mori T etri A rpionandomi.
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