Si può imparare a rubare tempo alla tristezza? Nell'aria ferma che mi concedo sono il mio dubbioso narratore, stupito di provare ancora stupore provando a districare i nodi chiave delle mie inesattezze... con gli occhi socchiusi e le pupille rivolte all'interno non è facile percepire il mondo, averne una cognizione vicina al vero. L'unica realtà tangibile diventa la propria, e allora si barcolla... stringendo tra le dita il filo aggrovigliato che ti hanno consegnato all'entrata. E cambiano le stanze, si deformano di passo in passo... spesso anche le pareti non sembrano avere consistenza propria. Dovremmo attraversare sia stanze che pareti allora? A cosa può servire stendere questo filo dietro di se se la vita non la si può percorrere a ritroso? Forse per concedere a qualcuno di raggiungerci mentre si continua a scappare, con la tentazione sempre più forte di posare a terra ciò che stringi tra le mani, e fermarsi più in là... tra una stanza e l'altra. Come darsi per dispersi senza curarsi del fatto che forse non siamo mai stati cercati. Posare a terra un groviglio divenuto fardello, sposare l'inconsistenza del dubbio e di una parete illusoria e fermare il respiro. Si può imparare a rubare tempo alla tristezza? C'è chi lo fa cesellando in apnea certi giorni grevi, lavorando dentro di se tra le pieghe del labirinto che ha scelto. Nascosto tra stanze e pareti che non credeva di aver scelto!
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