Le spade hanno marciato entro cuori di legno, salvando dall'asfalto pensatori immortali, e il cuore titubante lasciato a macerare saltella in lungo e in largo con echi di rimando. L'equilibrio naturale è un pendolo danzante e la falce uno scatto che congela questo ballo, lui non torna più da una guerra oramai persa, lei oramai piange la precoce vedovanza.
Il corvo lo accompagna sopra ali di cicogna, sorvola campi immensi con aria di fanciullo, spreca qualche pianto per quella nuova luce, si volta a riguardare il presente che abbandona. Abbandona, capisci? Lui è andato, lei rimane, ed è peggio di morire. Gli spilli dentr'al cuore, la morte dell'amore, il freddo gli permane nelle membra corrucciate.
"Come farò? Quale la forza? A me avverso il destino! Di quale paura, in quale timore, dovrà rifugiarsi il suicidio? Quali le colpe, chissà che doveri per una povera vedova e gravida!"
L'altare ormai lordo di sangue nutre una nenia dai teschi già sepolti, dal coro di sudari svetta un soprano in testa al lamento. E intanto il figlio della luce si allatta sul tonfo del pianto e triste e tetro, per lui ancor più duro sarà il combattimento, pugnando a sé la vita con la sua sola armata.
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