Il vento muove i rami delle acacie fra lucide formiche qui scivola e s'inabissa nel braciere cuore la tua immagine sottile, nomade fugge il tuo canto oltre il crinale di cime e nel sangue la speranza s'imprime.
Era nella pietra immota come un grido schiuso d'antiche leggende il tuo nome, riarso sfavilla al sole tra fuscelli in rovine. Dove leggiadra passeggi non s'ode traccia di un Dio, libera e rompe la scorza per esistere ogni raccordo di vite. S'udiva a novembre la tua mano sulle erbe vive, fiato d'innesto amore sui folti papiri.
Ogni raggio a te volge, si china di suono ai ventagli del giorno, muore per un docile ritorno fianco al tuo cuore camminando.
Non so se fosti musa o dea per i poveri del mondo, per gli ultimi che scalano spacchi cocciuti di strapiombo, per me che fuggo la curva al tramonto fosti donna vera, odoroso corallo a primavera di fatiche umane, dolceneri capelli intrigo della mia anima annodata delle mie tante ferite, pane di un miracolo nella terra arsa piovuto stanotte tra le mie gemme recise.
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