Dio, dicci dove sei, nostro dio dicci come fai a restare fermo immobile, inerme, stoico, esterno. Dicci come fai a vedere questo tuo sacro mondo cadere, distruggersi, cospargersi in pezzi ridicoli e sparsi. Quest'africa sfruttata, odiata, maltrattata, amata, adorata, venerata, giocata a dadi o in un'unica estrema puntata. Quest'America che si stende come un velo bianco e congiunge i due poli che reggono il mondo. Ma di poli in realtà nel profondo ne ha miliardi e continua a deteriorarsi nel nome di un baratto d'oro e intarsi. Quest'oriente e la cara mezzaluna solo i telegiornali al chiaro di luna occupa costante senza turbare nessuna mente che vada a pensare nel buio di una stanza al male che canta. Quest'infanzia lasciata e compianta protezione, amore, luce, candore, dolcezza, arcobaleno, sole, tepore spariti, rubati, svaniti o devastati? Assenza di verbi e piccoli pianti di pace e abbracci fortificanti tutto ribellato a questi falsi cantanti. La fame nei campi, la sete sui ponti, la stanchezza sui letti e la disillusione... Questa vecchiaia in contemplazione della morte e della pensione. Le giunture si spezzano, la dignità spazzano, la fallace felicità dimenticano. Questi valori imprescindibili sotto culi deplorevoli, il nostro sangue svergognato una volta così rosso ambrato, il nostro tono imbarazzato ferito e derubato, una voce squillante, quella del potere sfavillante del petrolio culminante, del denaro o dell'Aspromonte, del dolore mio regnante, del candore più buio e urlante. Dio, dicci dove sei, dicci come fai, dicci se ci sei, dicci se farai. Dacci almeno il tuo stoico immobilismo o tienitelo quest'ultimo, siamo già barricati nel vittimismo, un orrido cannibalismo di futuro e nuovo umanismo.
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