Scritta da: Ciro Orsi

A mio zio Ciro

Nelle gambe sentiva ancora
il fremito del mare,
sulla terra ferma teneva
la postura che i marinai
hanno per lunga lena appreso
per regger l'equilibrio
nelle lunghe crociere
in mare aperto..
Vestiva di chiaro
amava l'aria aperta
le magliette fresche bianche
di cotone profumate
sopra i calzoni a falde larghe.
Passava molte ore
al suo tavolo di vimini
sulla veranda dai bei vetri colorati
al piano terra del villino
leggeva con passione
libri di storia e saggi
e teneva sempre sotto mano
fogli di appunti fitti fitti
per chissà quali ricerche.
Si era ammalato in guerra.
Nell'estate del quaranta
era in missione nel Mar Rosso
sul sommergibile Perla:
una tragica serie di incidenti
mette fuori uso l'impianto
di condizionamento dell'aria,
la perdita del cloruro di metile
provoca l'avvelenamento
dell'intero equipaggio,
i marinai impazziscono
alcuni vengono legati
nell'attesa dei soccorsi
sono agonizzanti e
arenati sul fondo del mare
nell'angusto battello
per sei lunghissimi giorni.
Otto si salvarono.
Trentadue lasciarono la vita
in quell'angusta scatola di latta.
Zio Ciro tornò a casa
ridotto come un cencio consumato
i polmoni ammalati d'enfisema
e l'animo angosciato
che solo può provare
chi ha fatto quel viaggio
nel fondo dell'inferno.
Ma la vita è un'energia divina
e l'amore per la vita
un balsamo che cura
le ferite più atroci.
A casa c'è la dolce Lina
ad aspettarlo a braccia aperte
la piccola Luisa,
due anni o poco più
che già lo chiama "babbo"
per affascinarlo,
e la mamma e le sorelle
e il fratello
e i nipoti tanto amati
e tutti gli altri parenti
vicini e lontani
e i tanti e tanti amici
che hanno chiesto di lui
ed ora vengono a trovarlo
per dar coraggio
e tirar sù l'umore.
Poi il fisico riprende
il suo vigore e un nuovo
stile di vita lo sostiene
pur limitato dalla malattia
che la guerra gli ha lasciato.
Per me era così zio Ciro
lo amavo più di tanto,
porto il suo nome in onore suo
perché quando son nato,
nel quarantacinque, ancora
lui soffriva tanto
e desiderava tanto avere
un altro figlio, un maschio,
ma non era posiibile
e così gli sembrò forse
di volermi bene come un figlio.
Aveva il volto chiaro
di magrezza familiare
le fossette larghe del sorriso
gli occhi azzurri
come il mare,
giocavamo con le carte
mentre la zia suonava il piano
e Luisa pasticciava coi rossetti
e i tacchi a spillo
e chiamava il babbo
per sapere che ora era;
quando eravamo soli
preparavo il caffè con la napoletana
e lo gustavamo con i pasticcini
sul tavolo della cucina.
Lo guardavo ed era proprio lui
solo un po' più anziano
di quel giiovane marinaio
che zia Matilde ci raccontava
per far sapere come era nato
l'amore tra il fratello
e sua cognata Lina.
Il bel giovane marinaio
era in divisa d'ordinanza
sulla banchina del porto
a rimirare il suo battello in sosta
e orgoglioso illustrava
alla piccola folla di ospiti curiosi
i prodigi nascosti del regio natante
e le virtù straordinarie dell'arte marinara
ma ogni attenzione sua
fu solo per quel volto di donna
che si parò davanti
e lo incantò con gli occhi languidi
ed il sorriso esperto
nell'arte del sedurre.
Un tonfo al cuore e via:
Ciro e Lina
varcano quella passerella
sul battello dell'amore
verso la loro crociera della vita.
Composta giovedì 21 marzo 2013

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