Il carogna pelle a tartaruga veste uno sguardo d’onice incastrato d’osso in vetta ad una pappagorgia appesa mastica un secco, triste mozzicone e incede quasi storpio a brevi balzi mentre strabuzza occhi da piccione dinoccolandosi di lesta intesa. Fresco pastrano addosso ruffiano anello d’occasione versa un bicchiere a mezzo pieno suggendo inappagate contentezze, arricciola le labbra da signora e intona querulo ballate antiche con ventre e voce di zampogna d’ocra. Liscia una barba d’esperienza spiccia e un riccio pelo senza più vergogna rosso d’inchiostro spento tinge un canovaccio di parole lercio d’immagini confuse e luminosi spasmi d’esistenza. La sera incombe, ghigna e porge il conto il carogna, ali di gufo, carezza colorate piume e goffamente vola nel pozzo verticale di un tramonto.
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