Questo sole che sconfina dietro ai vetri non ha un briciolo di discrezione e resta in bilico sul davanzale della finestra come un pagliaccio fuori posto. Questa luna madre fedele delle nostre chimere se sente cani e dannati ululare insieme se ne va ai balconi degli amanti a riempirsi la veste di canti e poesie.
Ma tu non puoi fuggire la tua invisibile prigione e cerchi un lembo d’aria dove schiudere le ali. Lo sai, stai trascinando le tue stelle filanti e giri una stridula ruota nei mulini del cancro. Con quella parrucca di traverso e il viso gonfio di farmaci sembri la rana col bue, ma non c’è favola da raccontare, voce di mare da sigillare nel cuore di un vaso: il porto appena sfiorato è gioco di luce nella tormenta e l’orologio cuore malato non mastica più ore.
E non puoi nemmeno pregare perché qui abitano gli dei che non sanno secoli di pene e ridono dei nostri scongiuri, e non puoi nemmeno urlare perché qui vivono le ombre e bisogna fare piano, sempre più piano.
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