Il cielo è nero fumo che voltola, sfiocca, imperversa come a un fiato d'incendio. Corron ruote di cenere per l'infinito campo: borghi d'ocra e fuliggine si riproducono e ripercotono. Tutto fugge come a un fosco mare. Le case impallidiscono di spasimi sulle montagne, mostrano i mille occhi alle palpebre chiuse, i lampi sono rosei come i filari efimeri delle gambe alle ballerine in passo finale. Le folgori sono come bisce verdi e violette spesso han vene di sangue a capo, a coda. Sparve la scena dè monti lontani. S'opaca la distanza. Eccoli dispariti. Una dolomia, sola, il chiaro picco mantiene, alto, in un canto de la nerezza, teso. Piovon tutte le acque, a gocce, a schegge, a frecce, a micce ebbre di fuoco. Gli uccelli fuggono gli occhi accesi dei gatti saliti sulle piante: i gatti fuggono le spire di bragia delle folgori: le foglie degli alberi tremano per l'universo. Io m'abbandono a tutti i fiumi oscuri di me stesso che straripano.
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