Sognavi, e nel tuo sogno, tracotanza c'era, un volere esser solo tu, tu tutto l'alto, l'alto disponibile: tu non moristi quando la sua luce decompose la pelle e si nascose persa tra tutte l'ossa delle nubi, non chiudesti la porta della casa, né abbassasti tutte le sue palpebre, le sue finestre aperte ad ogni sguardo, trascelsi un occhio e ti mettesti al centro e d'una di esse tu fosti pupilla: cadde improvvisa pioggia, la sua cenere, pianse una pietra d'acqua le sue lacrime, tutto raggiunse il suolo e vi rimase. Ma, pure non essendovi salita per quel cadere in cui riconoscesti il tuo destino quasi ineluttabile, vedesti fino al punto in cui la fine portò al suo completarsi, un altro inizio: l'ossa recuperarono biancore, s'andarono spostando mano mano verso l'estremità, verso i suoi fianchi fino a finire libere, ma vive, fuori dal corpo che mostrò la luce, la sua pelle celeste. L'invidiasti, il paesaggio di serenità che fu riapparso, e semplice e arcano, non capisti i sorrisi degli umani a quel vedere ritrovato il cielo: tu l'invidiasti: tu fosti colpevole!
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