Stanco dell'ozio amaro in cui la mia pigrizia Offende quella gloria per cui fuggii l'infanzia Dolcissima dei boschi di rose nell'azzurro Naturale, e più ancora stanco del patto duro Di scavare vegliando un rinnovato avello Dentro l'avaro e freddo suolo del mio cervello, Per la sterilità spietato affossatore, - Che mai dirò, o Sogni, che mai a quest'Aurora, Visitato da rose, se, temendo i suoi fiori Lividi, il cimitero unirà i cavi orrori? - Voglio lasciare l'Arte vorace di un paese Crudele, e, sorridendo ai vecchi volti offesi Che mostrano gli amici, il genio ed il passato, E il lume che la mia agonia ha vegliato, Imitare il Cinese, anima chiara e fina, La cui estasi pura è dipinger la cima Sopra tazze di neve rapita dalla luna D'un fiore strano che la sua vita profuma Trasparente, d'un fiore che egli sentì fanciullo Innestarsi al suo cuore prezioso, azzurro nulla. E la morte così, solo sogno del saggio, Sereno, sceglierò un giovane paesaggio Che sulle tazze assente la mia mano pingerà. Una linea d'azzurro fine e tenue sarà Un lago dentro il cielo di nuda porcellana, Per una bianca nube una luna lontana Immerge il lieve corno nel gelo d'acque calme, Presso tre grandi cigli di smeraldo, le canne.
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