Grazie, arridetemi, riso soltanto Per noi serpeggi su la mia cetera, Chè il soavissimo Piacer io canto. Coll'estro facile carme gentile Io vò tessendo, carme ch'è simile A un fior ingenuo del gajo aprile. Ma il fior ingenuo olezza e muore; Anche il mio canto sen muoja subito, Purché per l'aere dispieghi odore. Già posa il candido ritondo braccio Sopra le coltri sacrate a Cipria, Braccio che amabile tessuto ha un laccio. Cò piedi teneri, o biondi Amori, No, non calcate quel roseo talamo, Ma sparpagliatevi fragranti fiori. Correte rapidi, fanciulli alati, Correte dove in danza atteggiano Le Grazie i morbidi piè dilicati. Udite Venere, la Diva udite Che vel comanda, di qui fuggitevi, La venerabile Diva ubbidite. Restar sul talamo sola desìa, Della fanciulla che sparge lagrime Sola vuol vincere la ritrosìa O dense tenebre, sì desiate! Giovane, taci, mi grida Cipria, Ch'omai s'appressano l'ore beate. Taccio: ma l'anima non può tacere, Tra sè ella canta gli accenti fervidi, Chè invasa sentesi sol da piacere. Qual grato fremito le taciturne Ombre sussurra, ombre che romponsi Dal raggio argenteo di membra eburne. O tu degli esseri vivo fermento, Sacro Piacere, per te in quest'anime Spruzza il tuo nettare, del ciel contento. L'aureo Filosofo dall'urna s'alzi, Bench'ombra cinga le bianche tempie Di rose, e un cantico egli t'innalzi. Per te sol prendono, o bello Dio, Gli augelli il canto, per te dei Zeffiri Dolce è all'orecchio il mormorio. Sol per te il fervido bel garzoncello A donzelletta vezzosa ingenua Rivolge cupido l'amante occhiello. Ah! un dì le rosee vèr me tue piante Volgi, o Piacere, dè Numi invidia, Sarò beatissimo da quell'istante.
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