Ferma, che fai? l'incauto Piede ritira, e ascolto Porgi ad un labbro ingenuo Fino ch'il giogo hai sciolto. Non fremi ancor? Ahi misera! Il precipizio è aperto; Mira lo scritto ferreo: Alto infortunio e certo Già semi-spenta lampada Luce all'orror funèbre, E mostra assai più orribili L'orribili tenèbre. Romito è il duol; le lagrime Grondano ognor dirotte, E sol fra veglie scorrono L'ombre d'odiata notte. Di', che farai? Già echeggiano Le tombe, e i santi altari Sol di singulti flebili, Solo di voti amari. Regna il digiuno; ei stringere Aspro flagel tu vedi; Pur disperato e languido Geme dell'are ai piedi. Gemi tu pure; e il gemito Ch'a me su l'alma piomba, Ah! t'aprirà cinerea Troppo immatura tomba. Se or non ti penti, ahi misera! Fia il pentimento tardo; Odi, tel dice squallida L'amica d'Abelardo. Vedi Eloisa: assidesi Su scanno nero e scabro, E bevo le sue lagrime Collo sfiorito labro. Abbi rispetto, o infausto Amor, abbi rispetto A quel tetro silenzio Che mi dilania il petto: Ella sì grida; e tacita Prende la penna in mano, E alfine ardisce scrivere Ad amator profano. Ah scrivi! ah scrivi! un barbaro Non è dell'alme Dio, Te involontaria vittima L'altrui barbarie offrio. Sull'ara augusta e candida Arse l'incenso impuro; Tremàr i cerei e il tempio A quel tremendo giuro. Ma tu, Eloisa tenera, No, non temer; conosco D'un cor sforzato a piangere Dio le proterve angosce. Tema flagello vindice Chi sè spontaneo gli offre, E gli ermi dì funerei Con pago cor non soffre. Ecco il tuo fato; in braccio Per sempre a lui ti getta, Ma di'? vedrai tu intrepida L'affanno che t'aspetta? Riedi e ne godi: o il debile Tuo collo al giogo appresta; Ma trema; Iddio si vendica Del cor che lo calpesta
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