Perché quelle piante turbate m'inteneriscono? Forse perché ridicono che il verde si rinnova a ogni primavera, ma non rifiorisce la gioia? Ma non è questa volta un mio lamento e non è primavera, è un'estate, l'estate dei miei anni. Sotto i miei occhi portata dalla corsa la costa va formandosi immutata da sempre e non la muta il mio rumore né, più fondo, quel repentino vento che la turba e alla prossima svolta, forse finirà. E io potrò per ciò che muta disperarmi portare attorno il capo bruciante di dolore. Ma l'opaca trafila delle cose che là dietro indovino: la carrucola nel pozzo, la spola della teleferica nei boschi, i minimi atti, i poveri strumenti umani avvinti alla catena della necessità, la lenza buttata a vuoto nei secoli, le scarse vite, che all'occhio di chi torna e trova che nulla nulla è veramente mutato si ripetono identiche, quelle agitate braccia che presto ricadranno, quelle inutilmente fresche mani che si tendono a me e il privilegio del moto mi rinfacciano. Dunque pietà per le turbate piante evocate per poco nella spirale del vento che presto da me arretreranno via via salutando salutando. Ed ecco già mutato il mio rumore s'impunta un attimo e poi si sfrena fuori da sonni enormi e un altro paesaggio gira e passa.
La città - mi dico - dove l'ombra quasi più deliziosa è della luce come sfavilla tutta nuova al mattino... "... asciuga il temporale di stanotte"... ride la mia gioia tornata accanto a me dopo un breve distacco. "Asciuga al sole le sue contraddizioni" - torvo, già sul punto di cedere, ribatto. Ma la forma l'immagine il sembiante -d'angelo avrei detto in altri tempi - risorto accanto a me nella vetrina: "caro - mi dileggia apertamente - caro, con quella faccia di vacanza. E pensi alla città socialista?" Ha vinto. E già mi sciolgo: "Non arriverò a vederla" le rispondo. (Non saremo più insieme dovrei dire). "Ma è giusto, fai bene a non badarmi se dico queste cose, se le dico per odio di qualcuno o rabbia per qualcosa. Ma credi all'altra cosa che si fa strada in me di tanto in tanto che in sé le altre include e le fa splendide, rara come questa mattina di settembre... giusto di te fra me e me parlavo: della gioia." Mi prende sottobraccio. "Non è vero che è rara, - mi correggo - c'è, la si porta come una ferita per le strade abbaglianti. È quest'ora di settembre in me repressa per tutto un anno, è la volpe rubata che il ragazzo celava sotto i panni e il fianco gli straziava, un'arma che si reca con abuso, fuori dal breve sogno di una vacanza. Potrei con questa uccidere, con la sola gioia..." Ma dove sei, dove ti sei mai persa? "È a questo che penso se qualcuno mi parla di rivoluzione" dico alla vetrina ritornata deserta.
Queste tue mani a difesa di te: mi fanno sera sul viso. Quando lente le schiudi, là davanti la città è quell'arco di fuoco. Sul sonno futuro saranno persiane rigate di sole e avrò perso per sempre quel sapore di terra e di vento quando le riprenderai.
Già l'olea fragrante nei giardini d'amarezza ci punge: il lago un poco si ritira da noi, scopre una spiaggia d'aride cose, di remi infranti, di reti strappate. E il vento che illumina le vigne già volge ai giorni fermi queste plaghe da una dubbiosa brulicante estate.
Nella morte già certa cammineremo con più coraggio, andremo a lento guado coi cani nell'onda che rotola minuta.