Ilaria, dolce come il favo e bella come l'arder del più lucente astro. Tu, dall'alto, come dea pagana, hai soffiato una legione di fumo, destinata al disperdersi nel vento del tempo, a questo tormentato poeta.
Il rigore si separa dalla mente sua, si veste in armatura e come paladino difende l'indifendibile poeta. Sferra fendenti vani al vuoto fumo, resiste tenace tra atroci ferite, e cede morente sotto i colpi di mortale inconsistenza povero rigore impotente all'amore, già sconfitto, lotta tra defunte speranze.
Oh ilaria, le tue legioni oltrepasseranno il freddo distacco che riveste ora quel poeta come ferrea armatura.
Ilaria spiega al poeta sconfitto nel tuo dolce e imperturbabile canto, come il cozzare delle tue legioni su questo piagato corpo spinga l'anima a desiderare più intensamente la presenza tua. Forse il tuo spirare ha trafitto il suo cuore?
La sua mente ha già ceduto al tuo influire, perché conduce l'anima di questo poeta alla donna che nel fiatare lo distrusse? Come puoi tu ilaria vincerlo così facilmente, puoi essere realmente tanto potente al confronto dei poeti dal volgo distinti?
Questo poeta è vinto, ora l'anima sua, essenza dei sospiri in tributo a te, ed il cuore che fortemente t'invoca domandano a te supplicanti (gli uni una volta sola ripetuta dal numero, l'altro ripetendosi al giungerti d'ogni sospiro) "donna sopra ogni bellezza capace di vincere quel poeta, un tempo nostro padrone, cibati di noi che t'apparteniamo".
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