Scritto da: GiuliaMeli
Un corpo. Solo un corpo. Un corpo da esibire, un corpo da giudicare, un corpo da coprire, un corpo da conquistare. Un corpo da oltraggiare. Un corpo che deve ospitare. Ma noi siamo soggetti pensanti. Sono donna. Sono corpo e sono mente. Sono la donna che da bambina giocava con le bambole e non vede l'ora di sentirsi chiamare "mamma" e di accudire la casa, mentre il lavora. Sono la donna che vorrebbe un lavoro, un contratto vero, una busta paga. Sono la donna che vorrebbe potersi sedere a una scrivania di una banca per chiedere un mutuo e poter comprare una casa mia con una cameretta per il mio bambino, che vorrei poter comprare io. Sono la donna che vorrebbe essere libera di lasciare il proprio marito, senza timore di non avere un letto dove dormire o un pezzo di carta per mangiare. Sono la donna che non vuole un bambino perché mi piace il mio corpo, perché vado fiera del mio ventre piatto, perché mi disgusta l'idea di ingrassare. Sono la donna che non si entusiasma davanti a un bambino, sono una donna che non rinuncerebbe mai al sonno, che non ha voglia di avere la casa piena di giochi. Sono la donna che è rimasta incinta e ha deciso di non diventare madre. Sono quello che decido di essere. #nofertilityday.
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    Scritto da: GiuliaMeli
    La parola che ho in mente oggi è canadese. Mi riferisco a una di quelle tende che si portano in campeggio e si montano con un niente, una di quelle case portatili dove si può tirare la cerniera e chiudersi dentro. Ce l'ho in mente perché certe volte noi uomini assomigliamo proprio a delle tende canadesi. Ci chiudiamo nella nostra piccola tenda e ci portiamo dentro le nostre abitudini, i nostri valori, le nostre etichette, i nostri pregiudizi, le marche di merendine, la frutta prima o dopo i pasti, gay si o gay no, Il bianco è meglio del nero, un vestito blu non lo comprerò mai. Ed evitiamo il confronto, lo scambio. Precludendoci il gusto dell'altro, del diverso. Diventiamo paladini del nostro piccolo mondo, stando bene attenti a difenderne i confini. E viviamo così, ingabbiati nelle nostre credenze, sentendoci spesso nel giusto perché convinti di agire per un fine nobile: il nostro equilibrio personale, il nostro benessere. Ma l'equilibrio che sfugge il confronto, che ha paura dello scambio può definirsi equilibrio? Il benessere deve implicare l'isolamento? Quanto è labile il confine tra autopreservazione e ottusità? È un confine sottilissimo, spesso impercettibile e allora apriamo la cerniera.
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      Scritto da: GiuliaMeli
      Bisognerebbe che ciascuno di noi avesse sempre una caramella nella tasca in caso di mancanza di zuccheri. Non una caramella nel vero senso del termine, o almeno non solo. Mi riferisco a un'idea di qualcosa che ci piacerebbe fare, a una persona che ci piacerebbe rivedere, a un posto in cui vorremmo tornare. Al muso del nostro cane, al profumo della nostra mamma, a quella maglietta che ci piaceva tanto alle elementari. Ecco in certi casi dovremmo liberare la mente e prendere quella caramella.
      Composto martedì 28 giugno 2016
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        Scritto da: GiuliaMeli
        Una volta quando non riuscivo a ritrovare la strada, un mio amico psicologo mi ha consigliato di scrivere, di cambiare il filtro, di buttare fuori i pensieri. Perché certe volte mi sento proprio così: come un'aspirapolvere a cui non è stato cambiato il filtro. E allora scrivo.
        E non scrivo niente di nuovo, niente di unico, niente di speciale.
        Cinque anni. Il diploma, i test di orientamento per vedere cosa potrebbe piacermi di più, in cosa sarei più brava. Le scarpinate per Cagliari per trovare una camera doppia che costasse poco, genitori con le scarpe vecchie.
        Libri fotocopiati, registratori, fatica, treni, pigiama e plaid, evidenziatori. E finalmente i crediti, la casa dello studente, la borsa di studio. Esami superati, mamme che si emozionano. Libretti che si riempiono. La schermata di word sempre aperta, l'interlinea, la bibliografia, errori che non trovi mai. Stanchezza, sacrificio, dedizione. Sonni brevi. E poi un vestito elegante, la tua piccola "creatura" in simil pelle tra le mani. Una corona e un mazzo di fiori.
        E già che ci sei continui, perché ti piace, perché ti stanchi, lq notte sei stravolta, però ti corichi appagata. E allora altri due anni, altri libri fotocopiati, altri compagni e quella cucina piena di vita, piena di menti sognanti, di occhi vispi. E alla fine guadagni anche la tua seconda corona.
        E poi inizi a cercare. Tirocini, stages, faresti di tutto ma la risposta è sempre negativa. Non sai di preciso cosa vuoi fare, sai solo che ti vuoi sentire utile, soddisfatta. E allora ti cerchi un lavoro, perché ti umilia chiedere soldi, e ti senti rispondere che non hai esperienza, che i laureati non farebbero mai certi lavori. Che non sai fare niente. Ti cercano quasi di farti pentire per aver perso 5 anni della tua vita sui libri. Ma non ci riescono.
        Oggi so che probabilmente non avrò mai un lavoro gratificante, un'indipendenza, che non potrò comprarmi casa o intraprendere un certo progedi vita. So che ho perso la via, ma so che non mi pento di niente.
        Composto giovedì 21 luglio 2016
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