Scritto da: Marilisa
27 Maggio 1973.
27 Maggio 2020... anniversario del mio matrimonio, 47 anni... Una cifra di anni incredibile, se ci penso, un soffio per come la percepisco. Sono quasi 19 anni che sono sola, Carlo è già partito per ritornare a casa e solo oggi, durante la reclusione per covid, sono riuscita ad esternare un po' del mio dolore per non averlo più accanto.
Ricordo...
Ricordo il caldo soffocante di quei giorni di quasi fine luglio. Percepivo come delle mani che mi attanagliavano alla gola e non mi permettevano più un regolare respiro... forse non respiravo più.
Ricordo il silenzio intorno a me, anche la natura taceva... forse non sentivo più.
Ricordo degli abbracci sconosciuti,
degli sguardi di pena, dei bisbigli... forse non riconoscevo e non percepivo più la presenza degli altri accanto a me.
Poi, improvviso, esplode il mio sentire, quando giro gli occhi e vedo...
Vedo dei fiori con un profumo dolciastro che quasi mi fa vomitare; vedo dei ceri la cui fiammella si muove come in una danza macabra; vedo dei drappi scuri, con quei colori violacei che sanno di morte... Già morte... Ed ecco, nell'istante in cui questa parola vibra e prende forma dentro di me, lo vedo... Cosa ci fa Carlo, immobile, dentro una bara, ha gli occhi chiusi, non si muove, non mi parla, non mi guarda...
Un urlo parte da dentro la mia Anima, un boato che scuote la nostra collina, la nostra casa delle favole trema, le nostre cagnoline drizzano le orecchie e Ambra, lentamente muove il capo e mi guarda: come mai non l'ho spaventata? Ho urlato forte... o forse non ho urlato.
Sono immobile, gli occhi che non vedono, le orecchie che non sentono, le gambe che non si muovono.
Sono morta anch'io, come lui.
Risento la sua voce, mi sta chiamando:
- Dai topina, vieni vicino che ti abbraccio, sono troppo felice di essere qui accanto a te, finalmente la "nostra" casa, la "mia" terra dove posso e voglio piantare tutti i fiori che più ti piacciono. Tu e Ambra siete la mia ragione di vita e ringrazio sempre la vita per tutto ciò che mi ha donato.
-Dai amore, vieni che ti abbraccio, chiudiamo la porta con il mondo fuori da qui.
-Amore mio ti amo tanto.
-Ma sei imbranata, ma come potrei mai lasciarti sola! Ne combineresti di tutti i colori!
... e io rido felice, sicura del suo amore, sicura del mio amore. Non ho dubbi, non ho paure, siamo insieme.
"Condoglianze", questa parola sovrasta la voce di Carlo e mi fa sbattere le ciglia. Sono seduta nella nostra cucina, guardo fuori e com'è che è sempre tutto uguale a prima? Il cielo azzurro, i fiori nel roccioso davanti a casa, la piscina pronta per essere usata, le mie cagnette pelosette che corrono e scodinzolano ad accogliere delle persone estranee che vengono in silenzio e con gli occhi pieni di una pietosa commiserazione.
Odio quegli occhi.
Io sono morta.
Non respiro e non parlo, gli occhi asciutti che guardano e non vogliono vedere quel volto scarno, immobile, freddo, come scolpito nel marmo, i suoi meravigliosi occhi verdi celati dalle palpebre abbassate.
Penso: sembra Cristo morto in croce.
Io costui non lo conosco.
Qualcuno mi prende per mano, dobbiamo andare, saliamo su un'auto e mi rendo conto che non ho pensieri, l'unico che mi sfiora è quando passiamo in una nuova rotonda, prima di entrare nel mio paese, mi dico: Carlo non ne farà mai uso, non sa nemmeno che è stata fatta.
Il piazzale della chiesa è brulicante di gente, l'asfalto bollente mi fa perdere per un attimo l'equilibrio, qualcuno mi sostiene.
"Condoglianze"... che parola è? Cosa significa?
Io sono morta.
Entriamo e percorro la navata della Chiesa, il mio abito da sposa bianco, vaporoso, a balze, di seta, ricamato con delle margherite, mi fa sentire come una principessa. Ho in mano un bouquet fatto di roselline bianche e rosa con i fiordalisi. Li ho voluti fortemente perché mi ricordavano la mia meravigliosa infanzia, quando pedalavo sulla mia biciclettina rossa, fino ai campi, lì la buttavo sulla riva e mi catapultavo in mezzo al grano, ne sento ancora l'odore e il calore e poi quei deliziosi fiordalisi blu che insieme ai papaveri, mi solleticavano il naso pieno di lentiggini!
Guardo avanti e vicino all'altare vedo il mio principe che mi sorride e mi tende una mano. Siamo emozionati, siamo felici, sembriamo due bambini a cui hanno regalato una torta panna e cioccolato di cui sono ghiotti. Non vediamo l'ora di gustarla. Non vediamo l'ora di gustare la "vita".
"Condoglianze"... ancora e ancora mani che mi toccano e non conosco. Chiudo e apro gli occhi e vedo una bara con dei fiori sopra con scritto: mari e ambra per sempre.
Non sono fiordalisi!
Io sono morta.
... e poi parole... parole... qualche lacrima di qualcuno, io immobile, io con un cuore di ghiaccio, tanto caldo fuori, tanto freddo dentro...
Urlo, piango, mi dibatto, strappo da me le mani che mi toccano in carezze estranee... No.
Sono immobile.
Io sono morta.
L'unica mano che voglio e che cerco è quella di Ambra, i suoi occhi sono enormi nel visetto smunto, mi fa tenerezza e non piango nemmeno quando mi dice:
-Mamma non avere paura, non ti preoccupare, ci sono io vicina a te.
Al cimitero il caldo è veramente torrido. Penso che mi sono vestita di blu, un colore che attira ancor più i raggi di sole, ma so che piaceva a Carlo. So che a lui piacevo sempre e sorrido ricordando che mi prendeva sulle ginocchia e mi ripeteva all'infinito:
-Sei bella, bella, bella...
è un'eco che mi rimbomba nel cervello e sento la rabbia, una rabbia devastante che mi riempie dalla testa ai piedi... e urlo!
-Sei un bugiardo, sei cattivo, sei un mostro di perversione! Tante promesse, per sempre, non potrei mai lasciarti sola e invece lo hai fatto e io grido ora il mio dolore e ti prendo a pugni e ti vorrei uccidere con le mie mani, ma non posso, tu sei già morto e io non sto gridando, sono immobile.
Io sono morta.
Guardo quel buco nella terra e mi sento venir meno e comincio a ricordare... Voglio ricordare tutto, voglio che tutti gli anni condivisi, nel bene e nel male, ma sempre con quell'Amore intenso che ci faceva sentire ricchi, con la preziosità di un sentimento spesso difficile da trovare, che noi, però, avevamo per un dono di Dio, scorrano intensi dentro di me.
Ecco, ora, sento che mi tieni la mano, come facevi sempre, poi la lasci per cingermi con un braccio le spalle e con l'altra mano prendi quella di Ambra: siamo insieme per l'eternità.
Continuo a ricordare...
Sento le nostre risate, sento la nostra complicità, sento i nostri progetti, sempre in sintonia, non sembravamo veritieri quando ci raccontavamo agli altri e parlavamo all'uniscono perché ci piacevano le stesse cose e tutto si faceva con quell'armonia che ci portava poi nelle notti a perderci in quell'Amore dolcissimo e perfetto, quasi in una sacralità destinata a pochi.
Anche la malattia voglio ricordare perché ci ha donato momenti di un'intensità tale da renderci elevati in una sofferenza che non aveva nulla di fisico, bensì solo lo strazio della consapevolezza di un distacco momentaneo, poiché noi saremo insieme per sempre, appena io partirò per arrivare fino a te.
Silenzio, sento solo il silenzio rotto da qualche sospiro e dal rumore che gli uomini fanno con il movimento delle corde per far scivolare la bara in quel buco che mi affascina e mi chiama.
E urlo:
-Fermi! Aspettate! Carlo spostati, vengo con te, mi faccio piccola piccola e tu mi abbracci e mi tieni stretta, come quando ci addormentavamo insieme e si parlava e si rideva, complici, compagni, amanti, a volte, ma proprio poche volte, nemici, bastava una battuta tua e un sorriso mio e tutto scompariva come una bolla di sapone. Perfetti insieme, come quando ballavamo e mi guidavi nel nostro valzer lento, così armonizzati che pareva dovessimo innalzarci in volo.
Dai vengo con te.
Io sono morta.
Scendo in quel buco nero, vedo il cielo azzurro sopra di noi e vedo quella donna vestita di blu con gli occhi sbarrati che non piangono, che non sente, non vede, non parla, non respira più e mi fa tanta pena. Dovrà imparare a vivere, sarà difficile, sarà dura perché ora lei è sola.
Io sono morta e vengo con te.

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