Scritto da: Elisa Peyronel
E se restassimo solo noi sulla Terra? Con "noi" non intendo la specie umana in generale ma un solo singolo individuo. Me. Te. Chiunque altro, ma da solo, l'unico. Cosa farebbe? Cosa penseresti? Come mi potrei sentire? Dovremmo fare i conti con la solitudine, quella vera. Dovremmo fare i conti con noi stessi, per davvero. La prima fase probabilmente sarebbe di allegria, euforia per poter fare qualsiasi cosa, legale e illegale, reale e irreale, nessuna regola, nessuno a cui dare retta, solo libertà e nessuna responsabilità. Ma non durerebbe molto, soltanto il tempo di dare spazio alla follia e alla rabbia repressa all'interno della "vecchia" società e nella noiosa e impersonale quotidianità. Ora sono qui, nell'esatto metro quadrato in cui ero, prima che tutti scomparissero. Perché sono rimasto solo io? Perché proprio io e non qualcun altro? Ora che faccio? Come mi devo comportare? Mille domande mi invadono e non mi abbandonano più. Alcune davvero stupide ma a cui non avevo mai dovuto pensarci, c'era qualcun altro a farlo e non lo sopportavo, mi sentivo in gabbia e invece ora sono qui... troppi punti interrogativi e nessuna risposta. Per riuscire a trovarne almeno una ho bisogno di un po' di pace, un po' di pace dentro di me. È paradossalmente difficile, anche con tutto questo silenzio. La libertà spaventa più di una prigione. Vado al mare, su quegli scogli così familiari ma contemporaneamente così "appuntiti", il rumore delle onde mi dovrebbe aiutare a calmarmi, ma non funziona... risveglia qualcosa in me, qualcosa che avevo costretto a rimanere nella zona più buia della mia mente. Ora faccio avanti e indietro tra le vie e le piazze del centro, camminare mi aiuta a pensare. Continuo a pensare ma continuo a non trovarci un senso. Forse un senso non c'è. Forse devo darglielo io. Raggiunto il punto più alto da dove si può ammirare un panorama bellissimo e cerco di godermi il tramonto. Per un istante mi sento quasi bene, poi un senso di nostalgia mi penetra in ogni cellula del corpo, come un fulmine. La mancanza di una persona accanto a me, qualcuno con cui parlare, qualcuno da abbracciare, a cui aggrapparsi mentre piano piano sto affondando negli abissi... non persone qualsiasi, ma quelle che amo, quelle di cui mi fido ciecamente e che nonostante tutto, verrebbero a salvarmi, rischiando la loro stessa vita. È notte, continuo a fissare le stelle che ricoprono e risplendono in cielo, potrei stare qui ore e ore ed è quello che farò. La testa non smette di farmi male, la confusione non diminuisce e il dolore non passa. Devo ragionare, tutto questo deve avere un significato. Passo la notte a piangere e a bere. Mi ubriaco, mi ubriaco per dimenticare ogni cosa. Quello che devo fare però l'ho capito, devo entrare in me stesso, capire chi sono davvero e chi vorrò essere in futuro. Devo fare i conti con i demoni del mio passato, tutto ciò che ho vissuto, che mi ha fatto a pezzi ma che ha voluto solo dimenticare e non affrontare. Ogni ferita è un passaggio che porta al lato migliore di noi. È arrivato il momento. Ho solo me ora, non devo più indossare maschere per piacere agli altri, per cercare di essere all'altezza delle aspettative. Posso permettermi di soffrire e nessuno mi vedrà.

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