Questa sera d'autunno innesca una girandola di visioni antiche.
Un'aria fredda, che spreme il cuore e proietta sulla retina cose già viste.
È strana la sera che arriva; strana con il buio che avvolge le cose nelle ore più belle e lascia ogni gesto stagliarsi contro il fulgore delle vetrine, sotto il cono giallo dei lampioni o addosso ai fari delle automobili in coda su strade troppo piccole per contenerle tutte.
Eppure il cielo non è ancora nero: il suo colore blu cobalto pare essersi perso, la pioggia cade inesorabile sembra quasi smalto.
È l'aria, anche nel grigio più intenso appartiene solo al cielo della sera d'autunno a far sì che ritornino gli occhi perduti.
Ma poi con una folata di vento si trasforma in una di quelle della mia adolescenza. Quando si va senza sapere dove, ma bisognosi di andare, di conoscere e di scoprire; quando qualunque luogo è quello buono, anche le strade insicure, quelle accanto alla Stazione con i suoi personaggi straordinari che s'esibiscono fra equilibrismi e ventriloquie in un circo senza pareti, quando la mamma ti sgrida o ti picchia perché hai fatto tardi.

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