La cosa che ci insegna il futuro, quando diventa passato, è che le cose non vanno mai come prevediamo.
dal libro "Diario di scuola" di Daniel Pennac
La cosa che ci insegna il futuro, quando diventa passato, è che le cose non vanno mai come prevediamo.
Il verbo leggere non sopporta l'imperativo, avversione che condivide con alcuni altri verbi: il verbo "amare", il verbo "sognare". Naturalmente si può sempre provare. Dai, forza: "amami!" "Sogna!" "Leggi!" "Leggi! Ma insomma, leggi, diamine, ti ordino di leggere!" "Sali in camera tua e leggi!" Risultato? Niente. Si è addormentato sul libro.
"È vero, niente televisione durante l'anno scolastico, è un principio sul quale non abbiamo mai voluto transigere!"
Niente televisione, ma pianoforte dalle cinque alle sei, chitarra dalla sei alle sette, danza il mercoledì, judo, tennis, scherma il sabato, sci di fondo ai primi fiocchi di neve, corso di vela ai primi raggi di sole, ceramica i giorni di pioggia, viaggio in Inghilterra, ginnastica ritmica...
Nessunissima possibilità lasciata al più piccolo quarto d'ora di faccia a faccia con se stesso.
Guerra al sogno!
Dagli alla noia!
La bella noia...
La lunga noia...
Che rende possibile la creazione...
"Facciamo in modo che non debba mai annoiarsi."
Non si muore quando si deve, ma quando si può.
"Cosa ti aspettavi?" sospirò Ursula. "Il tempo passa." "Così è," ammise Aureliano, "ma non tanto."
Il problema è che la gente comune è meschina e insensibile.
E la morale è una produzione popolare.
Una leccapiedi che striscia davanti ai potenti fa schifo come un topo di fogna. Ma una leccapiedi che usa il suo piccolo potere per far strisciare quelli più deboli di lei è una iena, una carogna, un essere abominevole.
Non voglio scappare, non bisogna mai commettere un'ingiustizia nemmeno quando la si riceve.
Una vita non esaminata non è degna di essere vissuta.
Temere la morte altro non è che credere di esser saggi senza esserlo, di sapere ciò che non si sa. Infatti, nessuno sa che cosa sia la morte, se per l'uomo il più grande dei beni; eppure tutti la temono come se fossero sicuri che essa è il più grande dei mali. E non è forse la più riprovevole ignoranza, questa, di credere di sapere ciò che non si sa?