A m'arcòrd: mi ricordo: i sogni e le speranze dello strapaese italiano. Vent'anni dopo "i Vitelloni", Fellini (autore della sceneggiatura insieme a Tonino Guerra) ripensa alle proprie origini, mescolando come sempre amore e odio, distacco e nostalgia, giudizio e complicità. E come sempre, facendo tutto a Cinecittà, passaggio notturno del transatlantico Rex compreso. Film apparentemente in tono minore, ma in realtà tra i più coesi e riusciti, Amarcord "è sintomaticamente ovattato" variazione snervata su un tema solo superficialmente un po' logoro, ma in realtà capace di prospettare una lettura del passato fascista interessante e acuta, "smontando il mito dall'interno e mostrando la mediocrità del regime e del popolo che l'ha accettato" (Fofi), con la trovata della crescita zero di Titta, sempre in calzoncini corti, e il fascismo "come stagione storica della nostra vita, blocco dell'uomo alla fase adolescenziale" (Fofi). Elogi di Forlani e rimproveri della madre per le troppe parolacce, violenti attacchi delle femministe per Gradisca la bella che "mandava fulgori acciarini" e scandalo per le tette himalayane della tabaccaia.

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