Impregnato e lercio di nulla più non temo il domani potrò sì separarmi da una vita che non ho vissuto che a tratti. Più niente chiedo e sento lo so e lo so bene e lo voglio e ogni smentita è vana. Eloquente un ossimoro accarezza significo le mie ossa modella il viso dei miei giorni; dal promontorio delle attese tutto è una chiara foschia diffusa. Poche volte ci baciò amore poco forbito parlò la speranza si accasciarono reduci sogni troppo il sorriso di uno sguardo mancò allo spalancarsi dei giorni. All'occaso imbrunisce l'aria limine ultra si fa l'orizzonte e nessun altro porto si pensa. Ardire, ambire, lusingarsi ansimare ancora a che vale se oltre non un lido o un atollo tangibile si immagina ospitale. E così lo scroscio infinito del nulla cade mi penetra e mi trapassa all'aurora di questa quinta stagione, dalle scaturigini dell'abisso sgorga beffarda una luce e tutta di scialbo opaco mi contrassegna. Annaspo nel mulinare dei pensieri incalzato da ciò che accade; percorro il sottobosco sonorizzato dal vocio loquace del silenzio che effonde; oltre le alture o le fosse melmose dell'essere, fisso il tempo senza corpo che piè veloce passa come un vento. Non ho voglia di niente e di nulla nella mota sguazzo e resto e non ci bado. Senza scalpore o sorpresa placido a germi di mal di essere mi consegno; per dovere, ignaro, batte il cuore che non sa dirmi neppure per cosa.
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