Il cifrario elegante che utilizzo si imbastisce di eironeia ad ogni suo passaggio: fiabesco si avvicina con fare non curante, mi scava dentr'agli occhi con una finta piuma.
Il nocciolo che trova lo passa tra le mani, lo lustra e lo riguarda, lo ammira e un po' lo teme, ed io che avevo appena sbrogliato la matassa mi trovo a non parlare una lingua che conosco.
Suggerisce delle frasi complicate da equazioni ritorcendo le parole come elastici d'avorio il tutto accompagnato con fare andante adagio da una melodia un po' strana che anche un sordo può apprezzare.
E mentre mi fischietta le cose che ho da dire a volte si rivolta a fissare l'ossidiana che prima aveva inciso parlandomi d'amore, soffiando fiocamente qualche lacrima di gioia;
ed io non faccio altro che imprimere fonemi arrivati chissà come verso un grembo di metallo e quando poi rileggo quei pensieri sussurrati mi riprendo dall'ipnosi che m'aveva generato.
Non importa se fiscali o se pure accompagnati, i discorsi tralasciati devon esser compiacenti perché quando sian riletti da piacere all'ignorante strimpellino il sapere misto a qualche accordo d'anima,
perché questo ancora credo, come quando ero quell'altro, che la cosa più importante quando operi quest'arte: "Musica su ogni cosa, ch'essa allieta ove si posa". E più che altro al come, è sempre meglio il cosa.
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