Ora che la macchina ha oscurato il canto è sempre più difficile poter ridarti in gloria e onore a quel poeta - ancora? - che tosto t'ha innalzata a divina e a provvidenza; umano, mi chiedi, ahimè di ritornare: la macchina - lo sai - ormai ha già covato e l'ospite incurante, che nutre la nemesi, ormai ne è assopito, ne più che mai dipende.
Ricordo e piango, ed ora che soltanto è tornata a me quest'arte spesso mi soffermo attonito a pensare agli spiccioli di tempo sperperati a farsi male, ai sorrisi che, se fatti, calmieravano il dolore (se soltanto avemmo avuto abbastanza sale in testa) od a tutte quelle volte che il sapore del far male umiliava la ragione sotto gli occhi d'un orgoglio beffardo.
Preferisco passeggiare col demonio che trovarmi sul rasoio con me stesso e cercare di sommare i minuti ch'ho investito ad estrarre l'innocenza dalla terra pulsante mentre avvelenavo il sangue e la linfa con un nettare pungente e amaro.
Potrei chiedermi se mi incontrassi a che è valso dare fuoco ai tuoi diamanti o cercar di concimarli con la rabbia, e in tal caso, stando fermo, mi potrei sputare in faccia sbeffeggiandomi maligno.
Fuori da un'amara simpatia altro non resta che sudicia acqua storta, mentre il fuoco che prima ci scaldava sembra averci consumato pelle, spirito e desiderio.
Tu non sai quanto mi manchi, amore. Tu non sai quanto ti amo.
Commenti