Pendii, ricoperti da manti talvolta screziati o immacolati, sposandosi a valli, sciallate del verde di prati oppur di ghiacciato candore, intonan profetico canto d'amore, al nascer del Sole e al proprio calar il drappo rubicondo, all'avanzar della sua dama silenziosa. Luna altezzosa, regnante all'imbrunire. Lo sguardo è in attesa fremente. Dopo aver disceso le scoscese chine, s'adagia sul piano a riposare, indi, s'alza e s'addentra, spaziando, nel color d'orizzonte vermiglio, finché l'ombre, oscuranti la notte, non incedan, col lor tetro passo assoluto.
Sorgiva, la fonte zampilla festante e china il pendio taciturno; scrosciando, ne pregna il silenzio, coi gelidi fiotti, sprizzanti purezza. Velata di trasparenza, si coniuga al fiume, sornione e indolente. Vitale, l'abbraccio irruente lo sferza all'istante, dando agio a quell'inno d'amor gorgheggiato di rinascer costante, nel rovente fulgore solare, riflesso sullo specchio fluviale, nonché al chiaror sensuale di luna, che lo rende fatato. Lo sguardo, attardante a seguir la sorgente, va a calar sull'acque del letto del fiume. Scivolandovi sopra, s'adorna di lapilli d'oro, prima d'esser dipinto di strali d'argento.
E l'eco, all'udito, riporta rumori dal dolce sapore, tal canti corali soavi. Amante di nenie, narranti le danze di sensuali Ninfe dei boschi o dei laghi, di storie abitate da leggiadre Fate, ch'esprimon malia, di suoni armoniosi reali o irreali, forgiati di vero o di fantasia... Quell'eco, al pari d'udito, si bea alfin di poesia.
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