Terreno incolto, in cui coltivavo sogni, come fiori, che assiduamente inacidivano assai presto, bensì li bagnassi con l'acqua d'un corso nominato speranza, giacché fresca al tatto e cristallina alla vista. Giorno dopo giorno, ora dopo ora, minuto su minuto, desiavo lo spuntare d'un germoglio, peraltro invano, quantunque all'assolate pietre, s'abbarbicasse disattesa flora profumata, dalle radici nate tra zolle desolate, presunte inappropriate a ogni genere di vita. Nulla di ciò ha valor d'impedimento, al mio desio, dacché la speme è ancor nutrita da coscienza del pensiero positivo, resistente all'inclemenza negativa, che ben sa rinnegar il compimento.
Ancor coltivo sogni in aggiunta a desideri, avendo asperso i semi nel cuor dell'infinito, in terreno riscaldato per grazia dell'amore perfetto e assoluto, bagnato da rivoli allegorici del fluido sempiterno, emanato da purezza e candor d'ampolle confacenti ad anime illibate. Pertanto, attendo disdegnando la chimera del risveglio d'un'aurora sibillina; che sia invero volitiva realtà, il sagace albore, da cui nasce la rugiada adamantina, destinato a dissolver l'ignorante oscurità, rivelante misteri inasprenti tormentosi eventi e a palesar desii appagati, dapprima proibiti, nonché sogni arretrati, ch'avran sapor di miele, nel dolce retrogusto.
L'amaro allor si sarà dissolto, alfin, al mio palato.
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