Cosa dovrò escogitare perché tu mi oda e un eco riporti suadente una tua parola or che folate di silenzio asolano e spazzano mucchi di speranze, se arrivare fino a te, abbandonare il mio carico di tristezze è il solo prodigio che possa mutare la rotta del mio ramingo viaggio? Abbattuto è l'albero maestro del mio naviglio e da una falla l'acqua che vi penetra copiosa affoga improvvida ogni illusione! Come edera mi arrampico al tronco della vita ma è dubbio se ne vedrò mai la falba chioma; come spighe che vogliono essere colte e divenir pane resisto ai colpi di vento, erba arsa nel polveroso prato, aspetto carezze di notturne rugiade. Ma non senti come galoppa fino a stramazzare il cuore? Corsiero a spron battuto, quante volte inciampò tra rovi, nitrì e emise lamenti e grida d'aiuto; rivolti gli occhi al cielo, scrutando ogni stella remota abbracciò l'infinito e disse: perché solo sono io? Come incupisce l'ora e fardello si fa il tempo se alle finestre a cui guardi ogni lampada è spenta, se l'anima vano chiede a un domani di mutare pelle, se attesa d'amor un tremito non ti riporta quando vuoto e stanco vibranti sfide lanci all'infinito! Demenza di gioia e di dolore non si placa a poco a poco; come arsura tra i solchi perdura, radici assecca, per mano invisibile lento muori di un male oscuro! Attraversando il mondo, illuso che amor esista per te, per gli altri ed ogni altra cosa che viva, vorresti bussare alla prima porta e farti aprire, spartire le poche cose che con te porti raccontarti e sapere... Ma poi pensi: meglio è se altri non inorridiscano alla vista di frammenti e sfilacci d'anima sventolati tra scuri giorni. Lasciamoci pure costringere dalle spire del vuoto se non siamo niente, zavorrati dai nostri mali, capo in giù affondiamo negli abissi del vuoto relitti senza storie e senza nome, spettri di noi stessi nella notte cupa.
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